giovedì 30 agosto 2012

MESSAGGIO DAL PASSATO

UNA SCOMMESSA E' UNA SCOMMESSA


Agosto 2012.
Mi scrive il mio amico di infanzia sul più noto Social Network di Internet.
Premesso che io e quest’uomo non ci frequentiamo da quando eravamo bambini avendo io traslocato nel 1985 in un altro comune, questo è il testo integrale del messaggio che ho ricevuto:



Ciao Paolo... Allora ho vinto oppure hai vinto tu? Circa 20 anni fa o forse 25, non ricordo, (ahimé, forse 27, nota del proprietario del blog) avevamo fatto una scommessa.
"La completerò prima io, dicevamo entrambi". Ebbene io qualche giorno fa (per l'esattezza la settimana scorsa) ho completato la serie, riuscendo a reperire da un collezionista il n. 5 (Le fatiche di Hercule). Ti confesso che la collezione è stata ferma per anni poi, qualche mese fa, ho reperito su una bancarella di robivecchi gli introvabili numeri 3 (Quattro casi per Hercule Poirot) e 4 (In tre contro il delitto) quasi introvabili persino su Ebay. Gli altri numeri li avevo ordinati per posta che ero ancora ragazzo (1, 2, 6, 13, 14 e 14 bis), mentre i numeri 7, 8, 9 li avevo comprati alla Vestro per corrispondenza poco dopo la tua partenza per Monteveglio. I numeri 10, 11, 12 invece, come ben sai, furono il mio primo acquisto, alla libreria Parolini di Bologna, dopo che tu mi avevi soffiato l'acquisto nella libreria sotto casa della Stefania (acquistando un cofanetto coi numeri 6, 10, 12). Ecco una foto scattata pochi minuti fa. Collezione terminata.
Se hai completato la collezione prima di me, bene. Se no, mi spiace, ma la vittoria è mia.

Che ne dici di pubblicare la foto sul tuo profilo? Se lo fai tu lo faccio anch'io.



mercoledì 29 agosto 2012

OCCUPAZIONE DEL PIANETA TERRA - PRIMA PARTE

OCCUPAZIONE DEL PIANETA TERRA
RACCONTO A PUNTATE
PARTE PRIMA

Per i miei occasionali lettori segue la prima parte di uno sciocco racconto ispirato a mille diversi scritti di fantascienza. 
Spero almeno di poter strappare un sorriso se non una riflessione man mano che la storia si avvicina al curioso finale.

 

Ricordo quella notte terrificante e affascinante in maniera perfetta nonostante siano passati più di vent'anni. Ho benissimo in mente quell’oscurità del cielo di Londra, creata in una notte serena ma senza stelle, coperte dalla sagoma della grande astronave aliena sospesa misteriosamente sopra le nostre teste e apparentemente contro ogni forza di gravità e legge della fisica.
Non aveva molto senso fuggire di fronte all’imponenza di quella visione: il terrore misto alla curiosità si sostituirono quasi subito al panico: fu così per quasi tutti e sebbene ci fossero stati malori e persone barricate in casa davanti ai notiziari non si videro molte scene di isterismo collettivo da film di fantascienza.
I telefoni cellulari non avevano più campo in città dal momento esatto in cui l’astronave aveva parcheggiato sopra di noi ma l’effetto durò solo poche ore e ripresero regolarmente a funzionare verso l’alba. Solo pochi quartieri rimasero senza energia elettrica per un po’ ma molti lampioni smisero di funzionare per giorni nonostante ci fosse ancora luce nella maggior parte delle abitazioni. Il mezzo alieno, invece, di luci proprio non ne aveva: era scuro e buio. Chiunque lo abitasse e lo manovrasse non aveva bisogno di fari e fanali come in un’automobile: le migliaia di luci con le quali la nostra immaginazione addobbava gli avvistamenti di presunte navicelle dallo spazio dovevano essere perfettamente inutili per questi esseri.

La scena finale di “Incontri ravvicinati del terzo tipo” non era esattamente quella che apparì allora davanti ai nostri occhi.

I ragionamenti, le supposizioni sulle loro intenzioni e sul nostro futuro passarono continuamente nelle nostre menti ma pochi parlavano a parte i parenti o i vicini di casa che riferivano le ultime notizie da radio e televisioni. Eravamo quasi tutti in strada con gli occhi rivolti a un cielo che potevamo vedere solo in piccola parte; tanto fissi che ci doleva la nuca quando tornavamo a posare lo sguardo a terra o davanti a noi.

Passarono diverse ore, dal loro arrivo intorno alle 21.00 fino a notte inoltrata, senza riuscire a capire e senza poter vedere novità dai nostri nuovi ospiti. Verso mezzanotte i mezzi di comunicazione erano quasi certi di poter dare un quadro mondiale completo della situazione dopo diverse segnalazioni, avvistamenti e notizie false. Le astronavi erano cinque in totale, notizia ormai definitiva e confermata, oltre che dagli inviati in tutto il mondo, dalle segnalazioni e dagli avvistamenti satellitari ed elettronici quando gli stessi oggetti volanti si stavano avvicinando alla nostra atmosfera.
Erano giunte pressoché contemporaneamente a Chicago, Kiev, Shangay, Londra e Verona. Destino volle che io, abitando a non molta distanza da quest’ultima città, mi trovassi quella settimana nella capitale Britannica.
Ancora non mi spiego perché tra quelle grandi capitali avessero inserito Verona. Non che la scelta degli altri luoghi, in particolare Kiev, fosse molto più chiara dall’inizio ma Verona era proprio incomprensibile.
In molti paesi del mondo si erano alzati in volo caccia e velivoli di ricognizione ma nessuno ovviamente aveva osato minacciare o tantomeno colpire a fuoco: la prudenza poteva evitare una risposta di armi probabilmente superiore a qualsiasi immaginazione. Le stesse dimensioni dei nuovi arrivati scoraggiavano mosse avventate contro quelli che potevano anche essere amici venuti da lontano.






 

Il mattino seguente gli alieni decisero di scendere a terra. Niente raggi trasportatori o navicelle: lentamente (ma la cosa terrorizzò tutti quanti e molti cominciarono a scappare a quella vista) una sorta di grande passerella telescopica e inclinata cominciò a prolungarsi dall’astronave fin quasi a toccare terra a un paio di chilometri da dove risiedevo io. Un processo che durò quasi mezz’ora dall’altezza di circa settecento, ottocento metri dal suolo quale poteva essere all’incirca quella di partenza. Subito dopo cominciarono a scendere oltre un centinaio di mezzi grandi come furgoni ma senza ruote: slittavano sospesi a mezzo metro dalla passerella e allo stesso modo erano sollevati quando raggiungevano il suolo terrestre ma non erano evidentemente in grado di volare. Lo stesso accadde nelle altre quattro città “occupate” mentre un grande dispiegamento di militari e forze dell’ordine allontanava le folle a terra e si schieravano pronti per ricevere adeguatamente chiunque fosse uscito da quei mezzi o chiunque tentasse un’ azione di forza di qualche genere.

Questi veicoli assomigliavano a grossi Maggioloni Wolkswagen senza fanali, curvi e apparentemente senza uscite o entrate se non un grosso foro sul davanti. A quel punto io ero in appartamento e seguivo la scena quasi solo dal televisore ma da quasi tutta la città si poteva ammirare in lontananza parte di quello spettacolo.
Questa lunga parata di macchine tutte uguali color petrolio esattamente come l’astronave terminò con un ordinato posizionamento a terra, a tre a tre, lungo il corso principale.
Proprio a Londra e non nelle altre città, il primo mezzo sceso sul Pianeta, si aprì dall’alto attraverso una portiera inizialmente non visibile in quanto, come detto, apparentemente i mezzi non presentavano fessure sulla superficie.

Finalmente scese il primo alieno, erano le 7.30 del mattino.
Si può immaginare quale sensazione di curiosità e paura stranamente mescolate provocò in tutti la vista di quell’essere antropomorfo con testa e arti, dritto in piedi come un umano e alto almeno due metri ma rivestito di apparecchiature e congegni un po’ ovunque tanto da rendere difficile comprendere meglio la sua fisionomia.
Guardava dritto di fronte a sé, senza mai voltarsi intorno. Dico guardava ma non sembrava avere occhi ma solo due buchi al centro della faccia semi coperta da un elmetto: due buffi fori su un accenno di proboscide che parevano il naso di un suino ma ero sicuro come tutti che potessero essere il suo organo visivo. Dopo pochi passi si vide alle sue spalle un essere completamente diverso ma saldamente attaccato al suo corpo. Sembrava un grosso serpente che si muoveva sulla parte posteriore del corpo dell’alieno. Non era una coda né un organo di qualche tipo: era proprio un’entità distinta, forse l’ ”animaletto domestico” dell’alieno. Osservandolo meglio, più che un serpente somigliava a un polipo con soli due tentacoli perché la testa non era in uno dei capi ma al centro del corpo, sempre senza occhi e con un foro in cima simile a una piccola bocca.

L’alieno si fermò a una ventina di metri dagli uomini armati schierati di fronte a lui e subito squillarono i telefoni cellulari di alcuni ufficiali presenti: suonarono tutti insieme ma provando a rispondere non sentirono voci dall’altra parte e sui display apparvero una serie di punti, asterischi e altri simboli anziché le cifre del telefono del possibile interlocutore. Fu ovvio fin da subito che si trattava di un primo tentativo di comunicazione del nuovo arrivato. Tutti i telefonini in zona suonarono ancora insistentemente in più occasioni e quelli dotati di connessione Internet si collegarono automaticamente mostrando pagine apparentemente casuali del web, una dopo l’altra, in una velocissima sequenza. Questo accadde anche per gli apparecchi di tante persone che abitavano a poca distanza e molti personal computer sembravano impazziti durante queste operazioni.

Attesi cinque minuti in questo modo su tutti questi display dei cellulari apparve una scritta chiara ed evidente, un SMS:

“Portate qui a noi la Regina di Gran Bretagna”.




....CONTINUA


 



Indiana Jones, иван карамазов e il bizzarro castello

RITORNO ALLA ROCCHETTA MATTEI


Fino a qualche anno fa avevo un sogno ricorrente:

luoghi misteriosi e antichi, castelli pieni di stanze, giardini, paesi abbandonati e passaggi segreti, oggetti particolari degni dell'attenzione di un'archeologo. In effetti in queste visioni mi muovevo con l'abilità e l'interesse di Indiana Jones ma con la curiosità e la sorpresa di un bambino.
Ritengo che parte delle cause di questo sogno che ho avuto decine di volte in vita mia sia da attribuire alla "Rocchetta Mattei".

In età preadolescenziale visitai per la prima volta questo grande castello dell'Appennino Bolognese che si trova nei pressi di Riola Di Vergato. E' una sorta di rocca a imitazione medioevale ma più moresca o infarcita di chissà quali altri stili, insomma: una meravigliosa e spettacolare accozzaglia di architetture molto kitsch ma di grande effetto e che riesce anche a sposare la meravigliosa natura circostante senza deturparne l'immagine ma anzi quasi integrandosi con le colline
All'epoca, con un folto gruppo di amici più grandi, entrammo furtivamente nell'edificio ormai incustodito e abbandonato da decenni. Mi ricordo che, dopo aver oltrepassato la recinzione già danneggiata da chissà quanti visitatori clandestini, entrammo da una porta o una finestra sul retro ma col giusto spirito dei curiosi e non certo danneggiando la struttura.
La "Rocchetta" è un insieme di scale, statue, iscrizioni, stanze particolari, affrescate o arricchite da maioliche. Un giardino interno richiama fortemente un patio dell' "alhambra" di Granada mentre un ponte levatoio su una alta torre porta a una stanza da letto ora senza più arredamento. Un'altra piccola stanza nei piani alti si chiama "Sala dei Novanta", così era scritto e mi dissero che doveva essere il luogo di un ritrovo tra novantenni il giorno in cui il conte avesse raggiunto tale età, l'11 gennaio del 1899. Probabilmente tale ipotetica longevità (che non raggiunse) sarebbe arrivata grazie alle sue medicine omeopatiche trattandosi di un medico di fama mondiale, per quanto avversato dalla medicina tradizionale.

Diverso tempo fa, dopo un altro dei miei sogni archeologici, sono salito in sella alla mia bicicletta come spesso mi capita nelle belle giornate estive e girovagando a caso per la provincia mi sono ritrovato proprio a Riola. Il Castello era troppo vicino per non poter fare un salto e così ho percorso il chilometro che lo separa dal paese scoprendo in realtà di trovarmi a Ponte, frazione di Grizzana.

Ora tutta la struttura è sotto restauro e al momento non è visitabile ma già le cupole hanno ripreso la loro doratura originale e altre ale del castello sono tornate a risplendere.
Ho vissuto un vero tuffo in un passato lontano della mia vita
E un tuffo nei miei sogni.

Questa bellissima foto l'ho trovata su Google, Foto di Giorgio Bartolommei www.fotocommunity.it. Nel caso violasse qualche copyright mi preoccupaerò di toglierla immediatamente.



Il brano che segue, con la sorpresa finale che nemmeno ricordavo (mi ha aiutato la biografia del Conte su Wikipedia), è la visione di Ivan, uno dei fratelli Karamazov protagonisti della Grande opera di Dostojevskji. 

"Se ti fa male il naso, vatti a curare a Parigi: lì, dicono, c'è uno specialista europeo che cura il naso. Vai a Parigi, quello ti esamina il naso e ti dice: "Posso curarvi soltanto la narice destra, perché non curo le narici sinistre, non è la mia specialità, ma dopo la mia cura andate a Vienna, lì c'è lo specialista adatto che riuscirà a guarirvi la narice sinistra". 
Che fai allora? Io sono ricorso ai rimedi popolari, un dottore tedesco mi ha consigliato di cospargermi di miele e sale durante il bagno a vapore. Io ci sono andato solo per farmi un bagno di vapore in più: mi sono impiastricciato tutto e senza alcun beneficio. 
Disperato, ho scritto al conte Mattei a Milano, che mi ha mandato un libro e delle gocce, che Dio lo benedica.  "

" Приедешь в Париж, он осмотрит нос: я вам, скажет, только правую ноздрю могу вылечить, потому что левых ноздрей не лечу, это не моя специальность, а поезжайте после меня в Вену, там вам особый специалист левую ноздрю долечит. Что будешь делать? Прибегнул к народным средствам, один немец-доктор посоветовал в бане на полке медом с солью вытереться. Я, единственно чтобы только в баню лишний раз сходить, пошел: выпачкался весь, и никакой пользы. С отчаяния графу Маттеи в Милан написал; прислал книгу и капли, бог с ним. И вообрази: мальц-экстракт Гоффа помог! Купил нечаянно, выпил полторы стклянки, и хоть танцевать, всё как рукой сняло."



giovedì 23 agosto 2012

PER FORTUNA C'E' CHI CI AIUTA A RIFLETTERE SUL SENSO DELLA VITA

IL CANTAUTORE CON LA CHITARRA


Il cantautore gridava la sua rabbia e sognava un mondo di pace e comprensione.  La sua chitarra ricoperta di oro e diamanti emetteva note lunghe e dolci mentre la sua voce graffiava l’aria con la sua convinzione.

Viveva in California, in una grande tenuta di sua proprietà con parchi e piscine ma aveva possedimenti in mezzo mondo e da quei paradisi di quiete e natura poteva apprezzare i veri valori della vita e insegnare ai ragazzi la via dell’amore. CI raccontava del mondo avaro e crudele, di una società consumistica e senza senso. “Si invecchia tutti passivamente, senza dare alla vita e ai valori il giusto peso”: questo erano le parole che accompagnavano le sue note anche se a volte faticava la sua voce, ostacolata dagli zigomi e dalle labbra semi immobilizzati dagli interventi chirurgici.
Amava gli animali e aveva un grande allevamento di cani addestrati che seguivano alla perfezione ogni suo comando e vincevano medaglie e trofei in competizioni ed esibizioni. Le sue amate bestie erano orgogliosissime di tutte quelle vittorie.

Il cantautore con le sue dita arpeggiava l’amore, con le parole animava il sentimento  vero per una ragazza: un amore non basato solo sull’apparenza; un amore eterno fatto di piccoli gesti quotidiani. La sua quarta moglie, una modella argentina più giovane di lui di una quarantina d’anni, amava molto quella canzone: il cantautore le aveva regalato i diritti della pubblicazione per il suo compleanno, che fruttavano oltre 40.000 euro l’anno, insieme a una Mercedes nuova. E come gli mancava, lei, in quelle noiose sere al Casinò in cui finiva sempre per perdere montagne di soldi e donarne altrettanti alla fan di turno o alla professionista che divideva il letto con lui in qualche grande albergo.

Odiava gli inquinatori e gli sfruttatori dell’ambiente, in prima persona aveva parlato con il primo Ministro per opporsi alla costruzione di un Aeroporto che avrebbe necessitato il disboscamento di un’area grande almeno come il suo campo da golf. Si era recato presso la sede del Governo a sue spese, utilizzando uno dei suoi aerei personali.
Sollecitava la necessità di aiutare i Paesi del terzo mondo e lui in prima persona donava grandi quantità di denaro grazie ai suoi concerti benefici che gli fruttavano un ritorno di immagine, diritti e introiti commerciali altrettanto consistente. Non gli bastava: grazie a un giro di denaro che gli consentiva milioni di euro di evasione fiscale, in realtà si permetteva di fare altra beneficenza che probabilmente neppure possiamo sapere.
“Solidarietà” “Aiuto reciproco” nel ritornello di uno dei suoi successi, la stessa canzone che cantavano un gruppo di ex operai che avevano perso il lavoro e avevano occupato in comunità un vecchio casolare abbandonato da tanti anni e semi diroccato all’interno di un terreno di proprietà del cantautore: non potevano più permettersi un affitto. Il cantautore li fece sgomberare con l’aiuto della Polizia: era d’accordo sulla protesta ma non per questo riteneva  giusto occupare abusivamente proprietà altrui. Era una questione di principio, non perché lo riguardasse direttamente.

Lui gridava contro le multinazionali che detenevano una quota consistente delle azioni della sua Casa Discografica e dedicava molto tempo a divulgare informazioni sul cibo sano e su un’alimentazione che consentisse una vita più salutare ed equilibrata.
L’alcolismo, la cocaina e le droghe che assumeva quotidianamente lo spensero all’età di 63 anni ma il suo senso di giustizia e la sua musica rimangono con noi. Sempre.

lunedì 20 agosto 2012

IL FIGLIOL PRODIGO

LA PARABOLA DI PAOLO IL FIGLIOL PRODIGO


Un uomo aveva due figli. Il più giovane, Paolo, disse al Padre: “Non è che avresti cento Euro…sai i debiti, il carovita, il caro benzina, anzi facciamo prima: dammi la parte di eredità che mi spetta così che io la possa saggiamente spendere per costruirmi un futuro tra droga, gioco d’azzardo e donne di facili costumi….”

E il Padre divise le sostanze….

Così Paolo partì con tutte le sue cose per un paese lontano (Castello di Serravalle, più o meno) e sperperò tutte le sue sostanze vivendo da dissoluto, pur ignorando cosa significasse il termine “dissoluto”

(e ignorando come fosse difficile vivere da dissoluto a Castello di Serravalle).


Quando ebbe speso tutto in Gratta e vinci, buoni del tesoro di nazioni europee e nel tentativo di partecipare a una cordata per acquistare una compagnia aerea ormai senza speranze......in quel paese venne una grande carestia e Paolo cominciò a trovarsi nel bisogno e pensò “..ma proprio ora che ho speso tutto doveva arrivare la carestia?”

Allora si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione che lo mandò a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci ma questo non avvenne, piuttosto ogni tanto capitava che alcuni porci perdessero una gamba; cosa che Paolo giustificava con incidenti sul lavoro ed improbabili liti tra suini.

Allora rientrò in sè stesso e disse: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, non sono più degno di esser chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi garzoni.

Così partì e si incamminò verso suo padre (pur credendo che il garzone fosse una benda di grandi dimensioni….)

 
Davanti alla sua vecchia abitazione c’erano ad attenderlo il Padre e un vitello di notevoli dimensioni: alla vista del figlio il Padre gli corse incontro gettandogli le braccia al collo mentre il vitello cominciò inspiegabilmente a piangere……

Il figlio gli disse: “Padre, non sono più degno di esser chiamato tuo figlio”  ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa”

“Lo sapevo io! Lo sapevo! - Disse il vitello ancora singhiozzante - Ma abbiamo così tanti conigli!…proprio io??”

“Ma pensa agli affari tuoi! - rispose un coniglio poco distante… - ….che poi… se ti fossi messo a dieta come ti avevo consigliato adesso ammazzerebbero un altro vitello….”

 
E cominciarono a far festa.
Tranne il vitello.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre farà ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo.

Egli si arrabbiò e disse “Non può ammazzare il vitello grasso per mio fratello! Semmai un coniglio!”

“E’ quello che ho detto anch’io! confermò il vitello grasso….”

“Ma è un complotto???” aggiunse il coniglio…..

Il fratello si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo ma lui rispose: "Ecco, io ti servo da tanti anni e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici……….”

E il capretto: “Oh!! Basta che non tiriate in ballo anche me, eh?”

"Guarda...-aggiunse il coniglio- qui di vegetariani neanche l'ombra..."

Riprese il fratello maggiore….”…ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi è tornato, per lui ammazzi il vitello grasso. Perché?" 

“Ha ragione! Perché mai????” si sentì ancora una voce…..


particprodigo3

Gli rispose il padre:

“Figlio mio…

....hai idea di quanto sia saporito il vitello grasso con le erbette e la salsa?”







 

giovedì 9 agosto 2012

L' ARISTOCRATICO

UN IGNORANTE RESTA IGNORANTE ANCHE QUANDO LEGGE UN LIBRO figuriamoci se guarda Internet



E' indubbio che Internet, la cui esistenza offre vantaggi enormi a chiunque ne possa usufruire, sia per me uno strumento che limita i vantaggi di una aristocrazia generalmente o genericamente informata e istruita (ma non necessariamente intellettuale) alla quale io appartengo.


Era facile un tempo avere più armi, essere depositari di informazione di fronte a chi pareva terrorizzato da libri e giornali che non mostrassero uomini in calzoncini con un pallone da calcio.
In fondo, però, la rete fa comodo anche a noi: facilità l'accesso alle informazioni anche per noi e fa comunicare pure noi con tutti. Rende pubblici in un attimo i nostri scritti e le nostre riflessioni.
Non facciamo i nostalgici di "Come eravamo quindici o venti anni fa": nascono sempre nuovi vantaggi e nuove possibilità che ci renderanno nuovamente aristocratici.

Leggere ancora libri di carta, scrivere lettere con una penna stilografica in mano, informarsi anziché subire passivamente le notizie da siti politicizzati o interessati, commettere cafonate senza doverle mostrare necessariamente al mondo con un video e scoprire che il piacere di amare non consiste nel cambiare il proprio stato su un social network.
Cose diverse, cose vecchie che hanno ancora tanto fascino e che possono rendere aristocratici molti di noi, perché in fondo tutti desideriamo essere un po' sopra la media, almeno in qualche ambito. Pure se per tanti altri saremo persone disgustose e inutili.

molti di noi

ma non tutti, no di certo.