lunedì 28 gennaio 2013

SCHERZO POMERIDIANO

FINE DI UN EQUINO



Ricordo questo, forse:
quel cavallo tanto corse
e stracarico di borse.
Nessuno se ne accorse
né un goccio d’acqua porse:
e ormai senza risorse
giunto alla meta, morse

martedì 22 gennaio 2013

SAMARCANDA


TAMERLANO, GENGIS KHAN, HITLER E MARCO POLO
(e Roberto Vecchioni)

TOMBE INVIOLABILI, ARCHITETTI VOLANTI E UNA FUGA A CAVALLO



Tamerlano o meglio Itur lo zoppo (pare avesse una gamba di ferro o qualcosa di simile) fu un grande conquistatore turco succeduto agli uomini di Gengis Khan come regnante dell’antica città di Samarcanda.

Prima di partire per una delle sue tante vittoriose campagne, ordinò la costruzione di una meravigliosa moschea in onore della sua moglie preferita, Bibi – Khanum, una principessa mongola che avrebbe dato il nome al grande edificio.
La leggenda dice che l’architetto persiano incaricato dell’opera si innamorò della nobildonna, rallentando il procedere dei lavori in quanto non ricambiato nei suoi desideri. Alla lunga la donna finì per cedere a questa sorta di ricatto ma il focoso bacio sulla guancia dell'uomo le costò una evidente bruciatura.
Il tempio da mostrare a Tamerlano era finito ma il segno sul volto era un marchio d’infamia che la donna coprì con un velo, imponendo lo stesso a tutte le abitanti della città. Tutto questo non fu sufficiente a impedire al sovrano di scoprire la tresca al suo ritorno. Il velo rimase per tutte come imposizione (è una delle leggende legate all’uso dello chador) ma la moschea divenne la tomba della principessa mentre l’architetto riuscì a fuggire volando dalla cima di un minareto.
La triste storia che, come spesso accade, finisce per punire solo le donne e risparmiare gli uomini l’ho rubata e riassunta da una narrazione di Tiziano Terzani ma non è certo l’unico antico e misterioso racconto legato alla straordinaria città di cui voglio scrivere in questa pagina.
Un’altra curiosa vicenda è infatti quella del mausoleo dello stesso sanguinario condottiero Tamerlano, luogo detto Gur-I-Mir: un enorme edificio che, appunto, ospita ancora la tomba dell' Emiro nelle sue cripte.
Nel 1941 i resti di Tamerlano (confermati come tali anche dalle menomazioni alla gamba) furono riesumati da un antropologo russo (Samarcanda faceva parte della Repubblica Sovietica dell'Uzbekistan). 
Sul sigillo della tomba del grande sovrano trovarono scritto:

" chiunque violerà questo sepolcro sarà sconfitto da un nemico più terribile di me."

Il giorno dopo, 22 giugno, Hitler cominciò l’operazione Barbarossa per invadere l’Impero Sovietico.

Anche Marco Polo, nel suo “il Milione” descrive la Samarcanda di un secolo prima. La città era tappa quasi obbligatoria per la sua famiglia in quanto importante crocevia dell’ epoca lungo la “Via della Seta” e Marco narra di un presunto miracolo legato alla restituzione di una pietra sacra dai cristiani ai musulmani. Tale pietra reggeva, a quanto pare, una colonna di un tempio cristiano che anche dopo il prelievo di questa pietra restò incredibilmente in piedi. Un probabile enigma architettonico che i Polo poterono vedere con i loro occhi.

Ma quando penso al nome "Samarcanda" penso a un’altra storia, una antica favola raccontata da un grande cantautore italiano che parla di un uomo in fuga: un uomo su un cavallo che scappa da una donna alla quale nessuno può sfuggire
e infatti quella donna vestita di nero lo precede inesorabilmente

e lo attende già

a Samarcanda.

C'era una gran festa nella capitale perché la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a casa ed avevano gettato le divise. Per la strada si ballava e si beveva vino, i musicanti suonavano senza interruzione. Era primavera e le donne finalmente potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini. All'alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento, a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi.

Ridere, ridere, ridere ancora, Ora la guerra paura non fa,
brucian le divise dentro il fuoco la sera, brucia nella gola vino a sazietà,
musica di tamburelli fino all'aurora, il soldato che tutta la notte ballò
vide tra la folla quella nera signora, vide che cercava lui e si spaventò.

"Salvami, salvami, grande sovrano, fammi fuggire, fuggire di qua,
alla parata lei mi stava vicino, e mi guardava con malignità"
"Dategli, dategli un animale, figlio del lampo, degno di un re,
presto, più presto perché possa scappare, dategli la bestia più veloce che c'è

"corri cavallo, corri ti prego fino a Samarcanda io ti guiderò,
non ti fermare, vola ti prego corri come il vento che mi salverò
oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh

Fiumi poi campi, poi l'alba era viola, bianche le torri che infine toccò,
ma c'era tra la folla quella nera signora stanco di fuggire la sua testa chinò:
"Eri fra la gente nella capitale, so che mi guardavi con malignità,
son scappato in mezzo ai grillie alle cicale, son scappato via ma ti ritrovo qua!"

"Sbagli, t'inganni, ti sbagli soldato io non ti guardavo con malignità,
era solamente uno sguardo stupito, cosa ci facevi l'altro ieri là?
T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per ascoltar la banda non facessi in tempo ad arrivare qua.

Non è poi così lontana Samarcanda, corri cavallo, corri di là...
ho cantato insieme a te tutta la notte corri come il vento che ci arriverà
oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo oh oh






giovedì 17 gennaio 2013

ALFONSINA MORINI E L'ITALIA DEL GIRO


BELLEZZA IN BICICLETTA


Il 9 dicembre del 1950 si celebrano le nozze di Alfonsina Morini, (vedova Strada) e di Carlo Messori, un ex ciclista Torinese. 
Mentre amici e parenti lanciano fiori agli sposi davanti a una chiesetta della periferia milanese, da una finestra vicina si sente cantare “Ma dove vai, bellezza in bicicletta? Così di fretta pedalando con ardor…”. Lei sorride e guarda negli occhi il neo marito. Anche molti invitati ridono di quella coincidenza e alcuni rifanno il verso alla canzone del momento canzonando la sposa.
Ventisei anni prima, il 10 maggio del 1924, partiva la prima tappa del Giro d’Italia: ancora oggi una delle più classiche corse ciclistiche al Mondo ma che già ai tempi incollava alle grosse radio dell’epoca le orecchie di tanti sportivi italiani. La Gazzetta dello Sport, storica creatrice e organizzatrice dell’evento a cui si deve il colore della maglia del vincitore, aveva annotato tra gli iscritti tale “Alfonsin Strada” che sulle pagine del Resto del Carlino fu trascritto subito come “Alfonsino Strada”. 
Solo alla partenza da Milano, tra i campioni dell’epoca, la clamorosa notizia fu evidente a tutti: una donna avrebbe partecipato al “Giro”.
La storia in realtà è molto lunga e comincia nel 1901 quando Carlo Morini, un poverissimo bracciante di Rastellino di Castelfranco Emilia trasferitosi con la famiglia a Castenaso di Bologna alla fine dell’ottocento, porta a casa una bicicletta che diventerà la grande passione della sua secondogenita. Il prezioso mezzo di trasporto, in verità, era tutto fuorché destinato a lei: la bici in Italia non era decisamente uno sport per femmine, non lo sarebbe stato ancora per molti decenni e vedere una ragazza sfrecciare su due ruote non piaceva molto agli stessi suoi genitori.
Alfonsina però faceva sul serio e cominciò a vincere parecchie gare locali facendo mangiare polvere a diversi maschietti prima tra Modena e Bologna ma col tempo anche in gare nazionali nella grande e moderna Torino, dove l’accoppiata ragazza-pedale destava decisamente meno scandalo che tra i campi di granoturco della bassa bolognese. Proprio a Torino, nel 1911, stabilisce il primato mondiale femminile dell’ora.
La ragazza viene notata da impresari sportivi, comincia a vedere un po’ di soldi e si trasferisce a Milano, la Capitale del ciclismo italiano. Correrà in Francia e persino in Russia accompagnata dal campione Messori (quello che sposerà in seconde nozze) ma prima, a Milano, ha la fortuna di conoscere una persona straordinaria: il suo primo marito Luigi Strada
Luigi non è un ciclista anche se ama sinceramente questo sport. E' un onesto lavoratore, artigiano ma soprattutto un uomo moderno e in controtendenza rispetto all’epoca il quale, anziché scoraggiare la moglie per relegarla ai ruoli classici di madre e donna di casa, le regalerà una bicicletta nuova e più professionale per spronarla verso altri successi e soddisfazioni.

Nel 1924, così, la storia ci consegna l’unica partecipante donna al Giro d’Italia maschile in oltre cento anni di Storia. La sua presenza fu contrastata, nonostante la buona volontà degli organizzatori e i buoni risultati di quella partecipazione (giunse al termine di tutte le tappe che all’epoca erano massacranti e interminabili) ma anche a dispetto di attestati di stima della “star” Girardengo, Il maschilismo impedì che si ripetesse quel caso e si crearono i regolamenti per impedire il ritorno di quel confronto che poteva fornire un immagine femminile molto lontana dall’idea che hanno sempre avuto (e talvolta hanno ancora) i rappresentanti dell’altro sesso.
E così torniamo al 1950, mentre sulle Alpi a sfidarsi ci sono Bartali e Coppi. Torniamo a quel matrimonio con Messori ma anche a quella popolare canzone di D’Anzi e Marchesi che, con ironia ma sempre con una punta di maschilismo, si ispirava proprio all’immagine di quella ragazza che per tanti anni partecipò a grandi imprese sportive. 

Alfonsina lasciò la bicicletta ben dopo i sessantanni  ma solo per inforcare la sua potente Moto Guzzi 500 che guiderà spavalda fino al giorno della sua morte, proprio a causa di un banalissimo e sfortunato incidente con l’affezionatissimo bolide.








martedì 8 gennaio 2013

MANCINISMO E LEFT PRIDE

L'ALTRA PARTE

Ogni anno, il 13 di agosto, esiste una particolare ricorrenza che io festeggio in solitudine con un buon bicchiere di vino (o di Schweppes gelata): la giornata internazionale dei mancini.

Io sono, ovviamente, uno di essi.
Da quando ho cominciato a impugnare gli oggetti e a comunicare fisicamente con il mondo, la parte sinistra del mio corpo ha sempre prevalso e di conseguenza, come ci insegnano da tempo, la parte destra dell'emisfero cerebrale. In realtà le cose non stanno esattamente così dal punto di vista scientifico ma non approfondisco anche perché non ho sufficiente conoscenza della materia.

"Mancino" e "mancante" sono parole con la stessa radice e la stessa origine latina: "Manus" e "cus" ovvero "mano storpia" o qualcosa di simile.
Non è un caso: la parte sinistra è sempre stata indicata come quella "sbagliata" nella storia dell'uomo, forse per il vecchio e immutabile vizio umano di diffidare di qualunque diversità, per quanto diffusa. I destri sono la stragrande maggioranza quindi i mancini sono strani o peggio "difettosi". Pensiamo solo al termine "right" ovvero destra che in inglese significa pure "giusto" mentre il suo opposto, "Left", è la stessa parola che indica "mancante". In campo linguistico si sprecano le espressioni dispregiative in merito: "Tiro Mancino" o "Sguardo sinistro" sono facili esempi.

Negli ultimi decenni, per fortuna, l'atteggiamento generale è mutato considerevolmente. E' noto, infatti, che nella storia questa differenza sia stata a volte trattata come una deformita se non un male legato alle superstizioni. Erroneamente si attribuisce lo storico accanimento a un problema esclusivamente religioso: in realtà il discorso è molto vasto e riguarda più un segno di distinzione, di presunta migliore educazione e ceto oltre all'ignoranza che sempre ha tentato di dare spiegazioni forzate e poco plausibili a fenomeni molto naturali.
La famosa "Encyclopedie", quella di Diderot e degli Illuministi francesi che conosciamo di nome dai tempi della scuola, è la prima opera a parlare di questo argomento in senso positivo; eppure saranno proprio le scuole francesi della Terza Repubblica quelle che si distingueranno maggiormente nel forzare i bambini alla cosiddetta "normalità", in un'ottica di massificazione e di non-distinzione in una società ordinata e secolarizzata.
All'inizio del '900, più che nel passato, erano molto diffusi trattati e ragionamenti su questa "malformazione" che in alcuni casi era un vero razzismo biologico che utilizzava espressioni non lontane da quelle che oggi, molti conservatori, utilizzano contro l'omosessualità.
La produzione di massa, poi, ha creato arnesi e strumenti sempre più uguali tra loro e adattati alla sola maggioranza; quindi ai destrorsi.

Ora mi sembra superfluo, poco originale e soprattutto lontano dal mio stile elencarvi quanto i mancini, al contrario,  abbiano dimostrato nei secoli eccellenze in moltissimi settori, particolarmente in quello artistico. Evito anche l'elenco di musicisti, condottieri, capi di stato e scienziati mancini di cui la storia è piena: vi basterà pensare ai nomi più famosi che conoscete in ogni campo e ci sono buone probabilità che stiate parlando di mancini (perdonate l'affermazione un po' eccessiva e orgogliosa).
Per non parlare del dominio dei sinistrorsi in alcuni sport come il tennis, il pugilato, il baseball o la scherma.

Io preferisco raccontare qui delle piccole differenze quotidiane e del piccolo orgoglio della mia infanzia per il fatto di appartenere a questa categoria. Del fatto che mi sono sempre divertito a scrivere "a specchio" ovvero da destra verso sinistra con le lettere rovesciate (come è noto sapesse fare Leonardo Da Vinci) o che sin da quando ho imparato a leggere non mi sono mai preoccupato se il libro o il foglio fossero o meno capovolti: il compito mi sembrava facile in qualunque verso. Come alcuni altri mancini che ho conosciuto, tra l'altro, ho una visione istantanea di tutto quello che è scritto in più righe o un intero periodo: quando leggo ad alta voce sto in realtà pronunciando qualcosa che ho visto e memorizzato un paio di secondi prima, mentre gli occhi e la mente sono concentrati sulla riga successiva. Da bambino questo metodo istintivo mi regalava una notevole fluidità di lettura e una più immediata comprensione rispetto a chi era costretto a concentrarsi su ogni singola parola per poterla riconoscere e pronunciare. Ho sempre attribuito questa particolare propensione alla lettura e la tendenza alla "visione d'insieme" proprio alla caratteristica di cui ho parlato finora così come credo sia la causa, al contrario, delle mie difficoltà infantili nell'apprendimento di semplici gesti come allacciarsi le scarpe. 


Il mondo dei mancini è fatto anche di piccoli, innocui problemi quotidiani (meno innocuo è il fatto di macchiare il foglio usando la stilografica) e di arnesi o strumenti ideati solo per la maggioranza.


Porto all' attenzione solo un buffo esempio di gesti quotidiani legati al fatto di essere mancini: il barista che vi serve un caffé girando la tazzina a vostro favore mentre un attimo dopo voi siete costretti a rigirarla per poterla prendere con la mano più comoda o ancora il piccolo dispiacere di non poter vedere la marca o il disegno sulla tazzina tra un sorso e l'altro in quanto sono sempre stampati su un solo lato: quello opposto alla vostra vista. Un po' come la faccia nascosta della Luna (forse per questo i primi due uomini che hanno camminato sulla Luna erano mancini?).



Concludo con piccole curiosità e coincidenze sulle tante celebrità mancine come la successione incredibile di Presidenti degli Stati Uniti d'America mancini negli ultimi cento anni:
Hoover, Truman, Ford, Reagan, George Bush padre, Clinton, Obama. Negli ultimi 40 anni solo per 12 gli Usa hanno avuto presidenti "normali". Negli ultimi 33 anni solo George Bush Jr.
Anche nella famiglia Reale inglese dal 1936 regnano solo mancini e in futuro non cambieranno molto le cose in quanto tutta la discendenza diretta: Giorgio VI, Elisabetta II, Carlo e infine William hanno questa caratteristica comune, probabilmente ereditata dalla Regina Vittoria. Qui però non parliamo di casualità o di eccellenza bensì di genetica.




Leonardo Da Vinci...




giovedì 3 gennaio 2013

LLANFAIRPWLLGWYNGYLLGOGERYCHWYRNDROBWLLLLANTYSILIOGOGOGOCH

DALLO SPAZIO AL GALLES
 
Gli esperti di cinematografia di ogni epoca conoscono sicuramente "Barbarella": un curioso film sexy fantascientifico degli anni '60 che ci lascia ancor oggi nel dubbio se si trattasse di un cult movie o piuttosto di uno sconcertante trash. Personalmente, avendolo visto senza ben comprenderlo, mi sentirei di avvalorare entrambe le ipotesi. In effetti, all'epoca, ben pochi lo apprezzarono nonostante il notevole investimento dei produttori (De Laurentis) e si rivelò un clamoroso flop a dispetto della presenza di una Jane Fonda in forma strepitosa e ben poco vestita e la partecipazione del giovane Ugo Tognazzi in una pellicola decisamente inadatta a uno dei più grandi interpreti della Commedia italiana.
Potrei raccontare di come uno dei protagonisti del film abbia dato il nome alla più nota o meglio rappresentativa pop band inglese degli anni 80 ma questa introduzione mi serviva invece per arrivare non molto lontano dall'Inghilterra.

Verso la fine della storia, Barbarella, viene catapultata verso l'alto grazie a una macchina che necessità una parola di accesso, tale parola è:

LLANFAIRPWLLGWYNGYLLGOGERYCHWYRNDROBWLLLLANTYSILIOGOGOGOCH

Scritta così può apparire come un impronunciabile groviglio di molte consonanti e poche vocali; un' associazione casuale di lettere senza senso. Eppure molti sanno (io da poco tempo in realtà) che si tratta di un paese vero e proprio: una località da qualche parte nel nord del Galles.
Se già fatico molto a comprendere l'inglese pronunciato dai gallesi ora so che non mi basterebbe una vita per imparare la loro vera lingua!

Si tratta di una parola composta: "Chiesa di Santa Maria nella valletta del nocciolo bianco, vicino alle rapide e alla chiesa di San Tysilio nei pressi della caverna rossa" e non si tratta di un artificio linguistico: la sua denominazione è originale e storica e solo per abbreviazione viene più spesso chiamata Llanfair PG.

E' forse poco lusinghiero che questo paese sia visitato più per il suo nome che per le sue poche attrazioni storiche e architettoniche e che migliaia di persone lo raggiungano più che altro per fotografarsi accanto agli interminabili cartelli della stazione o dei locali che espongono questo nome da Guinness dei primati.

Io preferisco fantasticare su turisti che chiedono improbabili informazioni o sui costi in segnaletica superiori a qualunque altro comune del Regno.