IRONIA DELLA (S)ORTE
Nulla è totalmente privo di ironia.
E’ peculiarità dell’uomo coglierla, comprenderla, poterla
narrare e reagire alle sue manifestazioni. Gli animali, i vegetali, i fenomeni
naturali, l’Universo è costantemente attraversato dall’ironia ma solo noi umani
possiamo davvero sorriderne.
C’è ironia persino in molte tragedie umane, per il modo o il
momento in cui avvengono, pure nella catastrofe e qui ricordo con un sorriso quante volte i terremotati modenesi, seppure terrorizzati e nei guai, hanno saputo tirare fuori lo spirito migliore per non piangersi addosso e per risollevarsi il morale a vicenda.
E’ tipico di noi emiliani scherzare maledicendo il cielo e il
destino
Anche nella mia vita, persino nei momenti più oscuri ho
trovato paradossi che mi hanno provocato un riflesso muscolare
involontario ai lati della bocca.
Si dice anche “Quando pensi di aver toccato il fondo,
comincia a scavare”. Non è forse ironia?
E allora, nei modi e nei tempi giusti, scherziamo su tutto:
scherziamo su ciò che ci terrorizza, sui mostri della nostra infanzia
fantastica e sui mostri reali della vita. Giochiamo con le parole e combattiamo
anche quell’umorismo grossolano, razzista o maschilista che invade le nostre
vite e che di ironia non ne ha un’oncia. L’ironia surclassa e annienta quelle
sciocche risate di ignoranza che puntano a distruggere la dignità degli altri;
le risate per infamare, per dividere, per deridere le diversità e le difficoltà
o le deformità.
Per non essere mai sconfitti, nemmeno dall' invincibile
falce della morte
ed è qui che voglio arrivare: alla grandezza di chi ha un moto di sfida persino al più imbattibile dei nemici
Come l’ironia un po’ involontaria di Filippide
ad Atene, dopo la lunga corsa da Maratona:
“Gioite, abbiamo vinto!”
un attimo prima di terminare la sua esistenza per lo
sforzo,
oppura quella altrettanto casuale di Jacques de la
Palice:
“Si il n'était pas mort, il serait encore en vie”
che senza volerlo, per un’ incomprensione sul suo
epitaffio, divenne celebre come simbolo di banalità e di ovvietà invece che
per le sue gesta gloriose.
E' ironia tremenda e affascinante quella di Shakespeare che, nel momento più macabro e drammatico del Tito Andronico fa sì che Marco, fratello del protagonista, risponda allo stesso con una gaffe degna di una commedia moderna.
In un momento di sconforto, Tito, mutilato così come la figlia Lavinia, sembra quasi incoraggiarla a porre termine alla sua vita e quindi alle sue sofferenze. Marco lo rimprovera per queste dure parole:
"Via, via, fratello, non starle a insegnare a levar le sue mani con violenza contro la stessa sua tenera vita!"
TITO - Che! Il dolore ti ha rimbecillito?? .......... Qual violenza di mani può levare costei contro se stessa? .... (le hanno mozzato gli arti)
Eppoi perché tanta tua insistenza sulla parola “mani”?
Sarebbe come chiedere ad Enea di raccontar due volte la sua storia: di come Troia fu ridotta in fiamme!"
Ma l’ironia più vera e straordinaria è quella voluta:
quella di chi cerca il riso tra le righe dell’amarezza. Di chi sa e vuole regalare
buonumore nei suoi ultimi istanti
così come il grande Stan Laurel che, ormai immobile nel letto, pronunciò l'ultima frase prima dell'eterno riposo e disse alla sua infermiera:
«Mi
piacerebbe essere in montagna a sciare».
e l'infermiera
che lo seguiva gli chiese cortesemente:
«Le
piace sciare, Sig. Laurel?».
«No, lo
detesto, ma è sempre meglio che stare qui».