lunedì 9 novembre 2015

LE PIACE SCIARE?



 IRONIA DELLA (S)ORTE


Nulla è totalmente privo di ironia.

E’ peculiarità dell’uomo coglierla, comprenderla, poterla narrare e reagire alle sue manifestazioni. Gli animali, i vegetali, i fenomeni naturali, l’Universo è costantemente attraversato dall’ironia ma solo noi umani possiamo davvero sorriderne.

C’è ironia persino in molte tragedie umane, per il modo o il momento in cui avvengono, pure nella catastrofe e qui ricordo con un sorriso quante volte i terremotati modenesi, seppure terrorizzati e nei guai, hanno saputo tirare fuori lo spirito migliore per non piangersi addosso e per risollevarsi il morale a vicenda.
E’ tipico di noi emiliani scherzare maledicendo il cielo e il destino

Anche nella mia vita, persino nei momenti più oscuri ho trovato paradossi che mi hanno provocato un riflesso muscolare involontario ai lati della bocca.

Si dice anche “Quando pensi di aver toccato il fondo, comincia a scavare”. Non è forse ironia?
 E allora, nei modi e nei tempi giusti, scherziamo su tutto: scherziamo su ciò che ci terrorizza, sui mostri della nostra infanzia fantastica e sui mostri reali della vita. Giochiamo con le parole e combattiamo anche quell’umorismo grossolano, razzista o maschilista che invade le nostre vite e che di ironia non ne ha un’oncia. L’ironia surclassa e annienta quelle sciocche risate di ignoranza che puntano a distruggere la dignità degli altri; le risate per infamare, per dividere, per deridere le diversità e le difficoltà o le deformità.

Per non essere mai sconfitti, nemmeno dall' invincibile falce della morte
ed è qui che voglio arrivare: alla grandezza di chi ha un moto di sfida persino al più imbattibile dei nemici

Come l’ironia un po’ involontaria di Filippide ad Atene, dopo la lunga corsa da Maratona:

“Gioite, abbiamo vinto!”

un attimo prima di terminare la sua esistenza per lo sforzo,



oppura quella altrettanto casuale di Jacques de la Palice:

Si il n'était pas mort, il serait encore en vie

che senza volerlo, per un’ incomprensione sul suo epitaffio, divenne celebre come simbolo di banalità e di ovvietà invece che per le sue gesta gloriose.



E' ironia tremenda e affascinante quella di Shakespeare che, nel momento più macabro e drammatico del Tito Andronico fa sì che Marco, fratello del protagonista, risponda allo stesso con una gaffe degna di una commedia moderna.

In un momento di sconforto, Tito, mutilato così come la figlia Lavinia, sembra quasi incoraggiarla a porre termine alla sua vita e quindi alle sue sofferenze. Marco lo rimprovera per queste dure parole:

"Via, via, fratello, non starle a insegnare a levar le sue mani con violenza contro la stessa sua tenera vita!"

TITO - Che! Il dolore ti ha rimbecillito?? .......... Qual violenza di mani può levare costei contro se stessa? ....
(le hanno mozzato gli arti)


Eppoi perché tanta tua insistenza sulla parola “mani”? 
Sarebbe come chiedere ad Enea di raccontar due volte la sua storia: di come Troia fu ridotta in fiamme!"




Ma l’ironia più vera e straordinaria è quella voluta: quella di chi cerca il riso tra le righe dell’amarezza. Di chi sa e vuole regalare buonumore nei suoi ultimi istanti

così come il grande Stan Laurel che, ormai immobile nel letto, pronunciò l'ultima frase prima dell'eterno riposo e disse alla sua infermiera:



«Mi piacerebbe essere in montagna a sciare».


e l'infermiera che lo seguiva gli chiese cortesemente:


«Le piace sciare, Sig. Laurel?».

«No, lo detesto, ma è sempre meglio che stare qui».




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