giovedì 25 ottobre 2012

CRESCIUTI NEL CORTILE

I BAMBINI DI VICOLO MARCHI


Queste righe sono dedicate ad una vasta generazione di ragazzi cresciuti nel "cortile" delle periferie cittadine. Uso il termine tra virgolette e in maniera impropria perché dovrei parlare più di isolato ma da bambini si diceva sempre "Vado giù in cortile". Non c'erano altri termini per definire lo spazio tra due o tre strade nel quale tutti i pomeriggi nel doposcuola (tutto il giorno nel fine settimana) si raduvano tre,  quattro e poi, minuto dopo minuto, 20 o 30 bambini dalle case intorno.

Ho parlato di generazione vasta perché nei cortili, giocando a nascondino tra le auto o calciando il Supertele per dodici ore consecutive sono cresciuti i bambini degli anni 60, 70, 80 e nei loro racconti ci sono tanti punti in comune.

Il nostro cortile a Zola Predosa fu "Vicolo Marchi": probabilmente l'unico quartiere storico di un paese cresciuto troppo in fretta intorno a uno dei più grossi centri industriali della provincia. Zola era ai tempi una piccola città che aveva attratto migliaia di persone di tutte le estrazioni sociali che, a prezzi ancora abbordabili, avevano colonizzato in massa la periferia bolognese i primi anni' 70.

Io vivevo tra i grandi palazzi della vicina Via Dante e appena si poteva, con qualche amico, si correva in quel Vicolo che costeggiava il fiume Lavino alla ricerca di misteri e incontri. A quell'epoca i giochi elettronici esistevano già ma non potevano competere con quello che c'era fuori: ci voleva troppo tempo o forse solo troppo disturbo per montarli sul televisore di casa e comunque dopo un po' si usciva ugualmente. Si stava dentro solo quando pioveva, forse nemmeno e i cartoni animati erano a orari precisi: c'era tempo per tutto.

Vicolo Marchi significava, come anticipato, andare prima di tutto al fiume: non era bello e ripulito come adesso, anzi, dove scendevamo noi ragazzi c'era una vera e propria discarica abusiva (una delle tante all'epoca) che però era fonte di scoperte e ritrovamenti. Mi ricordo che anche trovare in terra un tappo a corona, uno di quelli con le bandiere del mondo disegnate sopra, era un piccolo tesoro da riportare a casa. Anche una pietra strana o un bastone potevano diventare un trofeo.

Ma nel Vicolo abitavano anche i "vecchi", i veri abitanti storici di Zola che vivevano lì da chissà quanto, sicuramente da prima della Seconda Guerra e avevano visto i bombardamenti, il Duce. Noi andavamo tutti i giorni a casa loro, a vedere i loro oggetti antichi, ad ascoltare le storie così lontane nel tempo. Avevano sempre qualcosa da dirci, i vecchi ed era una singolare contrapposizione tra persone che parlavano quasi esclusivamente in dialetto e noi bimbi, a Zola, quasi tutti figli di meridionali immigrati o comunque non nati a Bologna, che capivamo tutto nonostante una lingua che avremmo imparato solo col tempo.

E poi le partite di calcio interminabili, mille contro mille o uno contro uno in campi troppo grandi o troppo piccoli, sempre di cemento, quasi sempre con muri al posto di porte o due giacche a vento gettate a terra al posto dei pali. Quasi sempre passavamo ore a colpire il coloratissimo "Supertele" dalle traiettorie fantasiose perché nessuno aveva mai il "Tango" (sempre in plastica ma più pesante). Sempre con il più "scarso" in porta (per lo più io) e tutti con addosso gli stessi vestiti con cui si andava a scuola o a passeggio. Allora nessuno aveva le maglie come i calciatori veri: i nostri idoli ci limitavamo a  nominarli durante l'azione a mo' di telecronisti.

Generazioni di bimbi che avevano molto da dirsi: che la sera prima in televisione avevano visto tutti lo stesso film e gli stessi spot, che avevano quasi tutti genitori ancora non separati anche se con mille problemi e l'affitto da pagare. Bimbi senza cellulare che guardavano alla finestra: tanto prima o poi spuntava qualcuno e lo si raggiungeva in due secondi giù per le scale. Anche noi un po' vittime della pubblicità ma si era abituati a non avere tutto, a non dover comprare tutto ciò che poteva piacerci.

Si urlava "macchinaaaa!!!!" e tutti si spostavano e lasciavano passare lentamente una Prinz che ai tempi delle Ritmo sembrava già un relitto. SI saltava tra gli elastici, si correva più di Dorando Pietri, ci si nascondeva per ore in luoghi dove nessuno poteva trovarti e saltando fuori dal nascondiglio ci si rendeva conto che il gioco era finito da un pezzo.

Il cemento, l'asfalto era l'ambiente di quelle periferie anni '70, '80: si giocava tra le auto in sosta, si correva da un lato all'altro della strada. Persino i veri cortili delle case, anche quelli privati, venivano ricoperti da gettate di cemento che sembravano più pulite ed ordinate dei prati. Sembrava che il verde fosse qualcosa di poco sano, da relegare in parchi alberati non troppo vicini alle case.

Infine, dopo il fango o la sabbia, sporchi e grondanti di sudore, a volte ci si infilava negli studi di "Telezola", sicuramente una delle prime reti commerciali e locali italiane dove capitava che ci ospitassero in diretta in piccoli show pomeridiani e dove i nostri genitori erano costretti a vergognarsi di vedere all'improvviso i loro figli sudici negli apparecchi televisivi.


Anche qui mi abbandono alla musica. Vorrei proporvi due meravigliose canzoni che secondo me rendono bene l'idea di quell'ambiente, dell'infanzia tra i cortili, per quanto scritte da persone con qualche anno più di me.


Infatti forse un po’ per punizione
che ci batte in testa il sole
nonostante la tettoia
Non credo che nessuno ormai si stupirebbe
se un bambino gli chiedesse
a cosa serve una grondaia?
A cosa servono i palloni
incastrati sotto le marmitte
a ricordare quando fuori
si giocava fra le 127

Che vita !
Ah puoi dirlo sento sempre il peso
di un ricordo appeso al collo
Che vita !
Pietro Mennea e Sara Simeoni
son rivali alle elezioni…

(Samuele Bersani, "Che vita!")


ed un'altra canzone qui sotto che ha evidenti riferimenti politici e non storico nostalgici...ma per il principio per cui ognuno vede poi in una poesia ciò che vuole...io ho rivisto un pezzo della mia infanzia e, ahimé, anche del mio presente al di là del reale contesto della canzone

Mamma c'ha il cuore debole ma la voce è di tuono,
Mamma c'ha il cuore debole ma la voce di tuono.
Ci guarda con il megafono dall'ultimo piano,
promette un castigo, minaccia un perdono.
E noi siamo tutti in fila davanti al bagno,
e noi siamo tutti in fila davanti a un segno,
e noi siamo tutti al fiume a trasformare l'oro in stagno.
Ma prima di aver finito faremo un buco nell'infinito
e accetteremo l'invito a cena dell'Uomo Ragno.


(De Gregori, la ballata dell'Uomo Ragno)

venerdì 12 ottobre 2012

DREAM A LITTLE DREAM OF ME

VOCE DI DONNA




Tra i pensieri o i ricordi più belli che posso avere nella mia vita c'è quello di una donna che canta per me. Sia una bimba che intona una filastrocca o una ragazza di qualunque età: è una sensazione meravigliosa.

Ho qui dentro tre ricordi speciali che racchiudono i mille ricordi incancellabili di questi momenti sereni.



Il primo ricordo è di me stesso sdraiato su un pavimento: ascolto una bimba che gioca con le sue bambole accanto a me mentre canta una semplice musichetta. E in uno stato di dormiveglia sogno che sia la figlia che non ho mai avuto.



Poi sono sempre disteso ma questa volta sulla sabbia, in una spiaggia del sud Italia dove due amiche cantano insieme a me. A un certo punto io smetto di accompagnarle per ascoltarle semplicemente: perché è bello sentirle ed è magnifico che siano con me per farmi sentire la loro voce e la loro musica.


E infine sono in una piazza, davanti a una chiesa dove un'altra meravigliosa amica dagli occhi grandi e dalla voce che muoverebbe il cuore alla persona più insensibile, interpreta un brano che sembra parlare di me.


Se nella voce di un uomo, nelle sue vibrazioni come nel dolore mi posso riconoscere, quella di una donna è l'amore stesso, la dolcezza e l'incanto: è un energia diversa che però avvolge, incuriosisce e anima.

Quando una voce straordinaria, perfetta, si unisce ad una canzone scritta con la parte più profonda di noi e con un animo che si trasferisce anche sulle note e non solo sulle parole

nasce un concerto semplice

e il capolavoro, l'arte.



Nel 1968 nacque il primo singolo da solista di "Mama" Cass Elliot: di certo una delle interpretazioni che più ho amato in assoluto. Ho amato pure quella voce e quella donna, scomparsa troppo giovane, tanti anni fa.

il tono rilassato ma intenso, le parole e quella melodia

alla sera, prima di dormire, 

sono il sonno più dolce che mi si possa regalare. 

Una donna che canta per me





DREAM A LITTLE DREAM OF ME


Stars shining bright above you,
Night breezes seem to whisper, "I love you";
Birds singin' in the sycamore tree;
Dream a little dream of me...

Say "nighty-night" and kiss me,
Just hold me tight and tell me you'll miss me;
While I'm alone and blue as can be,
Dream a little dream of me...

Stars fading, but I linger on, dear,
Still craving your kiss;
I'm longing to linger til dawn, dear,
Just saying this:

Sweet dreams til sun beams find you,
Sweet dreams that leave our worries behind you;
But in your dreams, whatever they be,
Dream a little dream of me

Stars fading, but I linger on, dear,
Still craving your kiss;
I'm longing to linger til dawn dear,
Just saying this:

Sweet dreams til sun beams find you,
Sweet dreams that leave our worries far behind you;
But in your dreams, whatever they be,
Dream a little dream of me



MamaCass7



mercoledì 10 ottobre 2012

BATTAGLIA NAVALE

L'INVINCIBILE ARMATA




Giocavo a battaglia navale ma in un modo nuovo.

"Le navi si muovono, nel mare - così pensai - e se voglio che tutto sia più realistico posso spostarle per evitare che siano colpite"
Il mio avversario chiamava le combinazioni di lettere e numeri ma le mie corazzate viravano per tempo sentendo l'attacco imminente grazie a una semplice matita dotata di gomma (questo dimostrava che le navi a matita sono più agili di quelle disegnate a biro)

I miei colpi invece giungevano precisi sul bersaglio quasi sempre: ci vuole un'ottima vista per essere bravi marinai e io riuscivo spesso a vedere le posizioni avversarie dal momento che l'altro giocatore non copriva a sufficienza il suo foglietto (pessima strategia di difesa per un generale).

Con questa tattica mi credevo imbattibile finché un pomeriggio il mio vicino di casa Alex mi sconfisse pesantemente per tre partite a zero.
Solo dopo molto tempo mi raccontò di aver usato in quella occasione una tattica ancora più ingegnosa: Alex le navi non le disegnava nemmeno, fingeva di farlo. "Militarmente parlando - mi disse - mi sembra giusto proteggere la mia flotta in un porto più sicuro piuttosto che esporla a una prevedibile decimazione in campo aperto"






   



venerdì 5 ottobre 2012

OCCUPAZIONE DEL PIANETA TERRA - PARTE TERZA

OCCUPAZIONE DEL PIANETA TERRA
RACCONTO A PUNTATE
PARTE TERZA

Continua il breve racconto a puntate inziato circa un mese fa. Subito qui sotto inserisco i link per gli occasionali lettori che volessero leggere anche il primo e il secondo episodio. Si tratta in realtà di una bozza di una storiella sugli alieni che spero abbia alcuni spunti interessanti e che sto modificando man mano per renderla più logica e fruibile.
In breve, nelle due puntate precedenti, gli alieni arrivano improvvisamente sulla terra con cinque immense astronavi sospese sopra altrettante città nel mondo. Dopo poche spiegazioni e una breve dimostrazione di forza in risposta a un attacco terrestre, diventano i nuovi padroni del Pianeta. Allìapparenza, i nuovi despoti, non sono terribilmente crudeli ma vogliono cibo in abbondanza: sono esseri che girano la Galalssia come nomadi invadendo i Pianeti e depredandoli di gran parte delle loro risorse.

 


Nel giro di pochi mesi l’economia mondiale aveva registrato un andamento poco controllabile. I prezzi nei settori alimentari erano aumentati ma allo stesso tempo anche la produzione. Gli altri generi cominciavano ad acquisire minore importanza anche se la vita continuava in maniera simile a prima.
Vivevamo in una dittatura che non necessitava di violenza o limitazioni alla libertà: la nostra paura era sufficiente a mantenere il controllo da parte degli extraterrestri senza che fossero necessarie altre dimostrazioni di forza se escludiamo risposte isolate a locali segnali di insofferenza e rimostranze. A ogni modo eravamo ingrigiti: si sorrideva poco, si scherzava anche meno e si era persa la voglia di essere vivi e di costruire, di progettare. Era come se fossimo una “generazione sfortunata” che doveva accettare quel mezzo secolo passivamente. Lasciando meno danni possibili. Senza contare l’avvertimento che, passati un paio di secoli, altri loro simili avrebbero di nuovo tentato di occupare il Pianeta.

Ogni giorno sembrava identico al giorno precedente.

Tutto questo però fino al momento in cui gli alieni scoprirono le loro nuove e grandi passioni,
tutto quello che mai ci saremmo aspettati:

Napoli

E la pizza.


Quando i primi tra loro si imbatterono in una vera pizzeria italiana a Londra, subito dopo il primo assaggio sembravano aver trovato l’Eldorado (così raccontarono i testimoni). La voce evidentemente si sparse in fretta e cercarono subito informazioni su quella prelibatezza scoprendo presto che non si trattava esattamente di un prodotto originale della City.

A tre mesi dal loro arrivo sul Pianeta, una folta comunità di quegli esseri cominciò a riempire le strade dei paesi intorno al Vesuvio. Pizza a parte erano rapiti dal paesaggio, dal Golfo e dal Vulcano e arraffavano persino dalle bancarelle dipinti dozzinali e statuette che raffigurassero Napoli e il suo mare.
A qualsiasi ora del giorno li trovavi nei tavolini delle pizzerie all’aperto, male incastrati tra tavolini troppo piccoli per i loro lunghissimi arti.
Il loro locale preferito inizialmente era “O’ guappo” a Mergellina. I gestori, dopo le prime iniziali incertezze, cominciarono a essere tutt’altro che infastiditi dalla loro presenza. Il motivo principale fu lo scambio di favori.
“O’ guappo” era in realtà un locale strettamente collegato a una delle famiglie camorristiche più importanti di Napoli che, più che rinunciare ai suoi interessi e alla clientela irrimediabilmente persa, cominciò a frequentare assiduamente il posto e a trattare gli alieni davvero come pregiatissimi ospiti. Alcuni di questi capi mafia si offrivano personalmente di scortarli nei luoghi più caratteristici del Golfo e i pochi testimoni raccontarono di averli sempre visti in rapporti estremamente cordiali tanto che questi enormi esseri gradivano quotidianamente la presenza di questi curiosi terrestri che non li temevano e che anzi parevano corrispondere volentieri a questo contatto culturale.

Tra potenti sembravano capirsi e i servigi di questi malavitosi portarono i loro frutti: quel locale e subito dopo parecchi altri in zona, per non parlare di molte altre attività ed esercizi di altro genere a Napoli, ottennero un’esenzione totale dal fisco obbligatoria, semmai avessero pagato le tasse in vita loro. Fu una delle rare intromissioni degli alieni nella gestione politica o economica a livello mondiale ma molti altri furono i favori pubblici e privati che giorno dopo giorno questi noti criminali riuscirono a conquistarsi tanto che, dopo quasi tre mesi, Gaetano e Saverio Staiano, fratelli e principali capi della cosca più potente di quell’epoca, furono i primi e unici terrestri a visitare un’astronave aliena sopra Londra.

La notizia, nata un po’ come leggenda da Internet, fu pian piano confermata da molti giornali che avevano visto i due criminali nella capitale Inglese. Si trattava tra l’altro di due latitanti ben noti alle forze dell’ordine italiane e che ora godevano ovviamente di una immunità assoluta. Ad ogni modo gli interessati non rilasciarono interviste e non si fecero vedere in giro se non assieme agli “ospiti” che rappresentavano la loro unica preoccupazione. I fratelli Staiano erano i primi “amici ufficiali” degli alieni, ammesso che entrambe le parti potessero conoscere anche solo il senso più generale dell’amicizia.



giovedì 4 ottobre 2012

LA CHEVRE DE MONSIEUR SEGUIN

LA CAPRA DEL SIGNOR SEGUIN

(texte original en bas de page)
Questa tristissima fiaba francese di Alphonse Daudet era forse la mia preferita nella prima infanzia.  Me la leggeva sepsso mio padre da un vecchio libro di narrativa francese, forse un suo volume di scuola degli anni '60 un po' strappato e senza più copertina.
E' una storia molto nota ma nonostante il profondo dramma del finale riusciva a entusiasmarmi tanto da chiederne spesso la rilettura, anche consecutiva. Fin da quando fui in età per intendere lo svolgimento di una favola, questa vicenda figurava nella mia mente moltissimi spunti di riflessione tanto da essere oggi uno dei più antichi ricordi della mia memoria infantile.

Oggi, a così grande distanza di tempo, mi è tornata in mente e la ripropongo sulle mie pagine, dopo averne riapprezzato la semplicità ma anche la profondità del messaggio in età adulta.



Il Signor Seguin non aveva mai avuto fortuna con le sue capre.
Le perdeva tutte nel medesimo modo: di mattina, rompevano le loro corde, se ne andavano nella montagna, e lì su il lupo le mangiava. Né le carezze del loro padrone, né la paura del lupo, niente le fermava. Erano, a quanto sembra, delle capre indipendenti, che volevano ad ogni costo l'aria pura e la libertà.
Il bravo Signor Seguin che non capiva nulla del carattere delle sue bestie, era costernato. Diceva:
      E' finita, da me le capre si annoiano , non ne avrò mai più una.
Tuttavia non si scoraggiava, e, dopo avere perso sei capre nello stesso modo, ne comprò una settima; solo che, questa volta, ebbe il buon senso di prenderla molto giovane, in modo che si abituasse a rimanere con lui.
Ah!Gringoire come era bella, la capretta del Signor Seguin!Come era bella con i suoi occhi dolci, la sua barbetta da sotto-ufficiale,i suoi zoccoli neri e lucicanti,le sue corna zebrate e i suoi lunghi peli bianchi che li facevano da pellanda!Era tanto carina quanto il capretto d'Esmeralda, te lo ricordi Gringoire?-e poi, docile, accarezzante,lasciandosi mungere senza muoversi, senza mettere il suo piede nella scodella. Insomma un amore di capretta...

Il Signor Seguin aveva dietro casa sua un recinto di biancospini.E' lì che rinchiuso la nuova ospite.
L'attaccò ad un palo, nel posto più bello del prato,avendo cura di lasciarle molta corda, e ogni tanto, veniva a vedere se stava bene.
La capretta era molto felice e brucava l'erba così volentieri che il Signor Seguin ne era felice.

      Finalmente, pensava il povero uomo, eccone una che non si annoierà con me!

Il Signor Seguin si sbagliava, la sua capra si annoiò.
Un giorno,  disse a se stessa guardando la montagna:

      Come si starebbe bene lì sopra! Quanto sarebbe piacevole  sgambettare nella brughiera, senza questa maledetta corda che mi scortica il collo!...Buono per l'asino o per il bue di brucare in un recinto!...Le capre,hanno bisogno di più spazio.

Da quel momento, l'erba del recinto le apparve scialba.
Le venne a noia.Dimagrì, il suo latte scarseggiò. Faceva pena a vederla tirare tutto il giorno la sua corda, la testa girata verso la Montagna, le narici aperte, facendo Mè!...tristemente.

Il Signor Seguin si rendeva conto che la sua capra aveva qualcosa ,ma non sapeva cosa fosse...Una mattina, quando finì di mungerla, la capra si girò verso di lui e gli disse nel suo dialetto:
      Ascoltate Signor Seguin, muoio di noia da voi, lasciatemi andare nella montagna.
      Ah!Dio mio!...Anche lei!gridò il Signor Seguin stupefato, e di colpo lasciò cadere la sua scodella; sedendosi nell'erba vicino alla sua capra esclamò:
      Come , Blanquette, vuoi lasciarmi!

E Blanquette rispose:

      Si, Signor Seguin.
      Ti manca l'erba qui?
      Oh!No!Signor Seguin.
      E' troppo stretta la corda, vuoi che l'allenti?
      No, non vale la pena,Signor Seguin.
      Allora di cosa hai bisogno?Cosa vuoi?
      Voglio andare sulla Montagna,Signor Seguin.
      Ma, disgraziata, non sai che c'è il lupo...Cosa farai quando arriverà?
      Gli darò dei colpi di corna,Signor Seguin.
      Al lupo non importano le tue corna.Mi ha mangiato delle capre  con delle corna più forti delle tue...Ti ricordi, la povera Renaude che si trovava qui l'anno scorso?..Ha lottato tutta la notte con il lupo...poi alla mattina,il lupo l'ha divorata.
      Peccato,povera Renaude!...Non fa nulla ,Signor Seguin,lasciatemi andare sulla montagna.
      Bontà divina!...disse il Signor Seguin;cosa succede alle mie capre?Eccone un'altra che il lupo si mangierà...Ah questo no!...Ti salverò comunque, birichina! E per evitare che rompi la corda, ti chiuderò nella stalla e ci rimarrai per sempre.

Così,il Signor Seguin portò la capra nella stalla completamente buia e chiuse la porta a doppia mandata.
Ma sfortunatamente aveva dimenticato di chiudere la finestra e appena andato via, la piccola scappò...Ridi Gringoire? Lo so che sei dalla parte delle capre contro il buon Signor Seguin...Ma vediamo se riderai ancora più tardi.
Quando la capra bianca arrivò sulla montagna, fu un vero incanto. I vecchi pini non avevano mai visto qualcosa di così bello.Fu ricevuta come una piccola regina.I castagni si abassavano fino a terra per accarezzarla con la punta dei loro rami.Le ginestre d'oro si aprivano al suo passaggio,e profumavano a lungo.Tutta la montagna le fece festa.

Pensi Gringoire come era felice la nostra capretta!
Niente corda,niente palo...nulla che l'impediva di sgambettare, di brucare a volontà...
La capra bianca , mezza ubriaca,si allungava con le gambe in aria e si arrotolava lungo i pendii, mischiata alle foglie cadute e alle castagne...poi di colpo si rialzava sulle sue zampe.Hop!eccola partita,le testa bassa, attraverso le macchie e le brughiere, prima su un picco,poi in fondo ad un burrone, in alto, in basso ovunque...Sembrava che ci fossero dieci capre del Signor Seguin sulla montagna.Non aveva paura di nulla Blanquette. Saltava in un colpo i grandi torrenti che la infangavano al suo passaggio...

Insomma ,fu una bellissima giornata per la capra del Signor Seguin.Verso mezza giornata s'imbattè in una truppa di camosci che stavano mangiando una lambrusca.Il nostro piccolo corridore fece sensazione...Si dice anche,ma questo deve rimanere tra di noi Gringoire,che un giovane camoscio, con il pelo nero,ebbe la fortuna di piacere a Blanquette. I due innamorati si persero nei boschi per più di due ore, e se vuoi sapere cosa si dissero,va a chiederlo alle fonti chiacchieroni che scorrono invisibili lungo il muschio.
All'improviso il vento divenne freschino.La montagna divenne viola;era notte.

      Già!disse la capretta;si fermò come stupita.
Giù i campi erano sommersi dalla nebbia.Il recinto del Signor Seguin era scomparso e si vedeva solo il fumo che usciva dal tetto della casetta...All'improvviso sussultò...
Poi fu un urlo nella montagna:
      Hu!Hu!
Pensò al lupo;tutto il giorno non ci aveva pensato per nulla...Suonò anche una tromba lontano nella valle.Era il buon Signor Seguin che faceva un ultimo sforzo per farla tornare.
      Hu!Hu! Faceva il lupo.
      Torna!Torna!urlava la tromba.
Blanquette ebbe voglia di tornare;ma ricordandosi del palo,la corda,la siepe del recinto,pensò che adesso non poteva più fare quella vita,che fosse meglio rimanere.
La tromba smise di suonare...
La capra sentì dietro di lei un rumore di foglie.
Girandosi vide nell'ombra due orecchie corte,dritte,con degli occhi luccicanti.Era il lupo.
Enorme,immobile,seduto all'indietro,era lì che fissava la capra bianca e che la mangiava con gli occhi.Il lupo non aveva fretta; si mise a ridere con cattiveria.
      Ah!Ah!la piccola capra del Signor Seguin!passò la sua grossa lingua rossa sulle labbra.
      Blanquette si sentì persa...Si ricordò la storia della vecchia Renaude che aveva lottata tutta la notte prima di essere divorata;si disse che forse era meglio lasciarsi divorare subito;poi cambiando idea,si mise in guardia,la testa bassa e la corna puntata,come una brava capra del Signor Seguin...Non che avesse la speranza di uccidere il lupo,ma solo per vedere se poteva resistere più a lungo della Renaude..
      Il mostro si avvicinò,e le piccole corna iniziarono la loro danza.
      Ah!la brava capretta,come caricava con il cuore in mano!più di dieci volte,non mento Gringoire, costrinse il lupo ad indietreggiare per riprendere il fiato.Negli intervalli della lotta,la golosa brucava in fretta un po' della sua cara erba;poi tornava alla carica,la bocca piena...Questo durò tutta la notte. Di tanto in tanto la capra del Signor Seguin guardava le stelle danzare nel cielo chiaro e diceva dentro di sé:
      Oh!speriamo di reggere fino all'alba...
Una dopo l'altra,le stelle si spensero.Blanquette radoppiò i colpi di corna,il lupo le dentate...
Una luce apparve all'orizzonte...il canto rauco del gallo salì da una cascina.
      Finalmente!dise la povera capra,che aspettava solo l'alba per morire;si allungò per terra nella sua bella pelliccia bianca macchiata di sangue...
Allora il lupo si gettò sulla capretta e la divorò.

A. Daudet






Alla fine degli anni '50, il grande attore francese all'apice della sua carriera, 
incise proprio questa fiaba su disco.



M. Seguin n’avait jamais eu de bonheur avec ses chèvres.
Il les perdait toutes de la même façon : un beau matin, elles cassaient leur corde, s’en allaient dans la montagne, et là-haut le loup les mangeait. Ni les caresses de leur maître, ni la peur du loup, rien ne les retenait. C’était, paraît-il, des chèvres indépendantes, voulant à tout prix le grand air et la liberté.
Le brave M. Seguin, qui ne comprenait rien au caractère de ses bêtes, était consterné. Il disait :
— C’est fini ; les chèvres s’ennuient chez moi, je n’en garderai pas une.
Cependant il ne se découragea pas, et, après avoir perdu six chèvres de la même manière, il en acheta une septième ; seulement, cette fois, il eut soin de la prendre toute jeune, pour qu’elle s’habituât mieux à demeurer chez lui.
Ah ! Gringoire, qu’elle était jolie la petite chèvre de M. Seguin ! qu’elle était jolie avec ses yeux doux, sa barbiche de sous-officier, ses sabots noirs et luisants, ses cornes zébrées et ses longs poils blancs qui lui faisaient une houppelande ! C’était presque aussi charmant que le cabri d’Esméralda, tu te rappelles, Gringoire ? — et puis, docile, caressante, se laissant traire sans bouger, sans mettre son pied dans l’écuelle. Un amour de petite chèvre…
M. Seguin avait derrière sa maison un clos entouré d’aubépines. C’est là qu’il mit sa nouvelle pensionnaire. Il l’attacha à un pieu, au plus bel endroit du pré, en ayant soin de lui laisser beaucoup de corde, et de temps en temps il venait voir si elle était bien. La chèvre se trouvait très heureuse et broutait l’herbe de si bon cœur que M. Seguin était ravi.
— Enfin, pensait le pauvre homme, en voilà une qui ne s’ennuiera pas chez moi !
M. Seguin se trompait, sa chèvre s’ennuya.


Un jour, elle se dit en regardant la montagne :
— Comme on doit être bien là-haut ! Quel plaisir de gambader dans la bruyère, sans cette maudite longe qui vous écorche le cou !… C’est bon pour l’âne ou pour le bœuf de brouter dans un clos !… Les chèvres, il leur faut du large.
À partir de ce moment, l’herbe du clos lui parut fade. L’ennui lui vint. Elle maigrit, son lait se fit rare. C’était pitié de la voir tirer tout le jour sur sa longe, la tête tournée du côté de la montagne, la narine ouverte, en faisant Mê !… tristement.
M. Seguin s’apercevait bien que sa chèvre avait quelque chose, mais il ne savait pas ce que c’était… Un matin, comme il achevait de la traire, la chèvre se retourna et lui dit dans son patois :
— Écoutez, monsieur Seguin, je me languis chez vous, laissez-moi aller dans la montagne.
— Ah ! mon Dieu !… … Elle aussi ! cria M. Seguin stupéfait, et du coup il laissa tomber son écuelle ; puis, s’asseyant dans l’herbe à côté de sa chèvre :
— Comment Blanquette, tu veux me quitter !
Et Blanquette répondit :
— Oui, monsieur Seguin.
— Est-ce que l’herbe te manque ici ?
— Oh ! non ! monsieur Seguin.
— Tu es peut-être attachée de trop court ; veux-tu que j’allonge la corde !
— Ce n’est pas la peine, monsieur Seguin.
— Alors, qu’est-ce qu’il te faut ! qu’est-ce que tu veux ?
— Je veux aller dans la montagne, monsieur Seguin.
— Mais, malheureuse, tu ne sais pas qu’il y a le loup dans la montagne… Que feras-tu quand il viendra ?…
— Je lui donnerai des coups de corne, monsieur Seguin.
— Le loup se moque bien de tes cornes. Il m’a mangé des biques autrement encornées que toi… Tu sais bien, la pauvre vieille Renaude qui était ici l’an dernier ? une maîtresse chèvre, forte et méchante comme un bouc. Elle s’est battue avec le loup toute la nuit… puis, le matin, le loup l’a mangée.
— Pécaïre ! Pauvre Renaude !… Ça ne fait rien, monsieur Seguin, laissez-moi aller dans la montagne.
— Bonté divine !… dit M. Seguin ; mais qu’est-ce qu’on leur fait donc à mes chèvres ? Encore une que le loup va me manger… Eh bien, non… je te sauverai malgré toi, coquine ! et de peur que tu ne rompes ta corde, je vais t’enfermer dans l’étable, et tu y resteras toujours.
Là-dessus, M. Seguin emporta la chèvre dans une étable toute noire, dont il ferma la porte à double tour. Malheureusement, il avait oublié la fenêtre, et à peine eut-il le dos tourné, que la petite s’en alla…
Tu ris, Gringoire ? Parbleu ! je crois bien ; tu es du parti des chèvres, toi, contre ce bon M. Seguin… Nous allons voir si tu riras tout à l’heure.
Quand la chèvre blanche arriva dans la montagne, ce fut un ravissement général. Jamais les vieux sapins n’avaient rien vu d’aussi joli. On la reçut comme une petite reine. Les châtaigniers se baissaient jusqu’à terre pour la caresser du bout de leurs branches. Les genêts d’or s’ouvraient sur son passage, et sentaient bon tant qu’ils pouvaient. Toute la montagne lui fit fête.
Tu penses, Gringoire, si notre chèvre était heureuse ! Plus de corde, plus de pieu… rien qui l’empêchât de gambader, de brouter à sa guise… C’est là qu’il y en avait de l’herbe ! jusque par-dessus les cornes, mon cher !… Et quelle herbe ! Savoureuse, fine, dentelée, faite de mille plantes… C’était bien autre chose que le gazon du clos. Et les fleurs donc !… De grandes campanules bleues, des digitales de pourpre à longs calices, toute une forêt de fleurs sauvages débordant de sucs capiteux !…
La chèvre blanche, à moitié soûle, se vautrait là dedans les jambes en l’air et roulait le long des talus, pêle-mêle avec les feuilles tombées et les châtaignes… Puis, tout à coup, elle se redressait d’un bond sur ses pattes. Hop ! la voilà partie, la tête en avant, à travers les maquis et les buissières, tantôt sur un pic, tantôt au fond d’un ravin, là-haut, en bas, partout… On aurait dit qu’il y avait dix chèvres de M. Seguin dans la montagne.
C’est qu’elle n’avait peur de rien la Blanquette.
Elle franchissait d’un saut de grands torrents qui l’éclaboussaient au passage de poussière humide et d’écume. Alors, toute ruisselante, elle allait s’étendre sur quelque roche plate et se faisait sécher par le soleil… Une fois, s’avançant au bord d’un plateau, une fleur de cytise aux dents, elle aperçut en bas, tout en bas dans la plaine, la maison de M. Seguin avec le clos derrière. Cela la fit rire aux larmes.
— Que c’est petit ! dit-elle ; comment ai-je pu tenir là dedans ?
Pauvrette ! de se voir si haut perchée, elle se croyait au moins aussi grande que le monde…
En somme, ce fut une bonne journée pour la chèvre de M. Seguin. Vers le milieu du jour, en courant de droite et de gauche, elle tomba dans une troupe de chamois en train de croquer une lambrusque à belles dents. Notre petite coureuse en robe blanche fit sensation. On lui donna la meilleure place à la lambrusque, et tous ces messieurs furent très galants… Il paraît même, — ceci doit rester entre nous, Gringoire, — qu’un jeune chamois à pelage noir, eut la bonne fortune de plaire à Blanquette. Les deux amoureux s’égarèrent parmi le bois une heure ou deux, et si tu veux savoir ce qu’ils se dirent, va le demander aux sources bavardes qui courent invisibles dans la mousse.


Tout à coup le vent fraîchit. La montagne devint violette ; c’était le soir…
— Déjà ! dit la petite chèvre ; et elle s’arrêta fort étonnée
.En bas, les champs étaient noyés de brume. Le clos de M. Seguin disparaissait dans le brouillard, et de la maisonnette on ne voyait plus que le toit avec un peu de fumée. Elle écouta les clochettes d’un troupeau qu’on ramenait, et se sentit l’âme toute triste… Un gerfaut, qui rentrait, la frôla de ses ailes en passant. Elle tressaillit… puis ce fut un hurlement dans la montagne :
— Hou ! hou !
Elle pensa au loup ; de tout le jour la folle n’y avait pas pensé… Au même moment une trompe sonna bien loin dans la vallée. C’était ce bon M. Seguin qui tentait un dernier effort.
— Hou ! hou !… faisait le loup.
— Reviens ! reviens !… criait la trompe.
Blanquette eut envie de revenir ; mais en se rappelant le pieu, la corde, la haie du clos, elle pensa que maintenant elle ne pouvait plus se faire à cette vie, et qu’il valait mieux rester.
La trompe ne sonnait plus…
La chèvre entendit derrière elle un bruit de feuilles. Elle se retourna et vit dans l’ombre deux oreilles courtes, toutes droites, avec deux yeux qui reluisaient… C’était le loup.


Énorme, immobile, assis sur son train de derrière, il était là regardant la petite chèvre blanche et la dégustant par avance. Comme il savait bien qu’il la mangerait, le loup ne se pressait pas ; seulement, quand elle se retourna, il se mit à rire méchamment.
— Ha ! ha ! la petite chèvre de M. Seguin ! et il passa sa grosse langue rouge sur ses babines d’amadou.
Blanquette se sentit perdue… Un moment en se rappelant l’histoire de la vieille Renaude, qui s’était battue toute la nuit pour être mangée le matin, elle se dit qu’il vaudrait peut-être mieux se laisser manger tout de suite ; puis, s’étant ravisée, elle tomba en garde, la tête basse et la corne en avant, comme une brave chèvre de M. Seguin qu’elle était… Non pas qu’elle eût l’espoir de tuer le loup, — les chèvres ne tuent pas le loup, — mais seulement pour voir si elle pourrait tenir aussi longtemps que la Renaude…
Alors le monstre s’avança, et les petites cornes entrèrent en danse.
Ah ! la brave chevrette, comme elle y allait de bon cœur ! Plus de dix fois, je ne mens pas, Gringoire, elle força le loup à reculer pour reprendre haleine. Pendant ces trêves d’une minute, la gourmande cueillait en hâte encore un brin de sa chère herbe ; puis elle retournait au combat, la bouche pleine… Cela dura toute la nuit. De temps en temps la chèvre de M. Seguin regardait les étoiles danser dans le ciel clair, et elle se disait :
— Oh ! pourvu que je tienne jusqu’à l’aube…
L’une après l’autre, les étoiles s’éteignirent. Blanquette redoubla de coups de cornes, le loup de coups de dents… Une lueur pâle parut dans l’horizon… Le chant d’un coq enroué monta d’une métairie.
— Enfin ! dit la pauvre bête, qui n’attendait plus que le jour pour mourir ; et elle s’allongea par terre dans sa belle fourrure blanche toute tachée de sang…
Alors le loup se jeta sur la petite chèvre et la mangea.
A. Daudet