Correva sempre, correva dappertutto: sapeva solo correre.
Non correva per scappare dagli inseguitori o per essere il più veloce di tutti ma perché era convinto che si potesse correre più del tempo.
Viaggiando alla stessa velocità del tempo, quest'ultimo, si sarebbe come fermato o addirittura sarebbe potuto tornare un pochino indietro ma per fare ciò non ci si poteva fermare mai: bisognava correre per sempre.
Ecco il suo avversario: quel tempo che non lascia finire i propri lavori, che morde e consuma troppo in fretta i momenti più belli, che ci fa perdere il treno, che ci fa dimenticare cose importanti, che decide cosa si può fare e cosa no
e che decreta inesorabile la fine delle giornate, delle settimane, dei mesi
e degli anni.
He always ran, he ran everywhere: he only knew how to run.
He did not run to escape from his pursuers or to be the fastest of all but because he was convinced that yis possibile to run more than time.
Traveling at the same speed as time, the latter would have stopped or even could have gone back a little but to do this you could never stop: you had to run forever.
Here is his opponent: the time that does not let you Finish your jobs, that bites and consumes the best moments too quickly, that makes us miss the train, that makes us forget important things, that decides what can be done and what notand which inexorably decrees the end of days, weeks, months
Sono certo, per convinzione personale, che il tema del
soliloquio sia stato tra i primi mai trattati nella storia della Psicologia e
Psichiatria. Lo penso perché è tra le manifestazioni umane ritenute poco lucide
che vengono indicate e riscontrate più spesso. Almeno nel pensiero comune.
Per quanto si possa dire che, occasionalmente, quasi tutti
si trovano a parlare con sé stessi bisogna ammettere che chi esprime i suoi
pensieri ad alta voce può essere visto con diffidenza più di chi ha scatti d’ira
verbali o manifestazioni abbastanza violente.
Non credo di aver bisogno di uno psichiatra per affermare
che, se limitato e ben cosciente, si tratti invece di un esercizio utile e
importante. Io sono una di quelle persone a cui capita abbastanza spesso ma lo faccio
volontariamente e lo ritengo un modo per aiutare la memoria e la riflessione.
Sicuramente ho cominciato da piccolo: soprattutto fino ai sette, otto
anni di vita in cui ero figlio unico e avevo la necessità di costruire
dialoghi, imitare quelli degli altri, ripetere ad alta voce le azioni per
sviluppare sequenze logiche.
Ora che vivo da solo, il ripetere determinati concetti,
marcare alcune azioni ad alta voce è straordinariamente efficace
Ma non è tutto.
Anche la normale ricostruzione di avvenimenti o dialoghi non
soddisfacenti, con le parole non dette e che si sarebbero volute dire è
utilissima se non rimane fine a sé stesso come puro sfogo ma si sfrutta per
capirsi e migliorare con l’esperienza le interazioni fisiche e verbali sul
lavoro, con gli amici e nei sentimenti.
Insomma: io parlo da solo e me ne vanto e credo non si debba
avere paura se, oltre a porci domande ad alta voce, a volte abbiamo anche le
risposte. Certo che se riteniamo che le risposte non giungano dalla nostra
stessa voce e riflessione bensì da un amico immaginario
Se insomma non siamo in grado di gestire questo dialogo
interno come un breve e normale sfogo mentale o esercizio di concentrazione
cosciente
Può scattare il discorso patologico.
Fino a quel momento io me le dico, io me le scrivo
Io me le canto
HELLO!HOW DO I FEEL?
I am sure,bypersonal conviction,thatthe theme of "soliloquy" wasamong the firsteverdiscussed in the history ofpsychologyandpsychiatry.I think so because it's one of the human's manifestations considered "not too wise" which is shown andidentifiedmore often.
Even ifalmost everyone talk with himself occasionally, we must admit thatthose who expresshis thoughtsaloudcan be viewedwithdistrust more than those who havetemper tantrumsorverbalmanifestationsquiteviolent.
I do not thinkI needa psychiatrist tosay that,iflimitedandwell aware,it isan useful and important exercise.I often do it but I do it consciounsly andI think it isa way to helpyour memory andreflection:Ithink it began in childhood: Developedespecially in the firstseven or eight yearsof life in whichI wasan only child without brothers or sisters and I hadthe need to constructdialogues, situations and repeataloud theactions to developlogical sequences.
Now that I livealone the repeating of certain concepts, the markin of some actionsaloud isextraordinarily effective to store in my mind or understand better.
Butthat's not all.
Eventhenormalreconstructionof eventsordialoguesunsatisfactory,with wordsunspoken isusefulifit's not a mere outburst but it'is used tounderstand andimprovewith experiencephysical and verbalinteractionsat work,with friendsand in the feelings.
In short:I speakaloneand I'm proudand I thinkwe should notbe afraidif, in additionto askquestions out loud, sometimeswe havethe answers.Of course ifwe believe thatthe answers do notcomefrom our ownvoice andreflectionbut froman imaginary friend
In short, ifwe are notable to managethisinternal dialogueas a shortandnormalventormentalconcentration's exercise we can usethe wordpathology.
Until thenItellto me, Iwriteto me
Più o meno dal minuto 3.
Meravigliose riflessioni e relative risposte di Tevye
(l'attore Topol nel "Violinista sul tetto").
A volte il protagonista sembra rivolgersi più che altro a Dio in cerca
di una improbabile manifestazione palese di approvazione ma in altri
momenti crea uno straordinario e buffo dialogo con sé stesso che sembra
fermare il tempo intorno a lui, mentre la figlia attende un sì per il matrimonio.