I BAMBINI DI VICOLO MARCHI
Queste righe sono dedicate ad una vasta generazione di ragazzi cresciuti nel "cortile" delle periferie cittadine. Uso il termine tra virgolette ed in maniera impropria perché dovrei parlare più di isolato ma da bambini si diceva sempre "Vado giù in cortile": non c'erano altri termini per definire lo spazio tra due o tre strade nel quale tutti i pomeriggi nel doposcuola (tutto il giorno nel fine settimana) si raduvano tre, cinque e minuto dopo minuto 20 o 30 bambini dalle case intorno.
Ho parlato di generazione "vasta" perché nei cortili, giocando a nascondino tra le auto o calciando il "Supertele" per dodici ore consecutive sono nati quelli degli anni 60, 70, 80 e nei loro racconti ci sono tanti punti in comune.
Il nostro cortile a Zola Predosa fu "Vicolo Marchi", probabilmente l'unico quartiere storico di un paese cresciuto troppo in fretta intorno ad uno dei più grossi centri industriali della provincia. Una piccola città che aveva attratto migliaia di persone di tutte le estrazioni sociali che, a prezzi ancora abbordabili, avevano colonizzato in massa la periferia bolognese i primi anni'70.
Io vivevo tra i grandi palazzi della vicina Via Dante ed appena si poteva, con qualche amico, si correva in quel Vicolo che costeggiava il fiume Lavino alla ricerca di misteri ed incontri. A quell'epoca i giochi elettronici esistevano già ma non potevano competere con quello che c'era fuori: ci voleva troppo tempo o forse solo troppo disturbo per montarli sul televisore di casa e comunque dopo un po' si usciva ugualmente. Si stava dentro solo quando pioveva, forse nemmeno ed i cartoni animati erano ad orari precisi: c'era tempo per tutto.
Vicolo Marchi significava, come anticipato, andare prima di tutto al fiume: non era bello e ripulito come adesso, anzi, dove scendevamo noi ragazzi c'era una vera e propria discarica abusiva (una delle tante all'epoca) che però era fonte di scoperte e ritrovamenti. Mi ricordo che anche trovare in terra un tappo a corona di quelli con le bandiere del mondo disegnate era un piccolo tesoro da riportare a casa. Anche una pietra strana o un bastone potevano esserlo.
Ma nel Vicolo abitavano anche i "vecchi", i veri abitanti storici di Zola che vivevano lì da chissà quanto. Noi andavamo tutti i giorni a casa loro, a vedere i loro oggetti antichi, ad ascoltare le storie così lontane nel tempo. Avevano sempre qualcosa da dirci, i vecchi ed era una singolare contrapposizione tra persone che parlavano quasi esclusivamente in dialetto e noi bimbi, a Zola quasi tutti figli di meridionali immigrati o comunque non nati a Bologna, che capivamo tutto nonostante una lingua che avremmo imparato solo col tempo.
E poi le partite di calcio interminabili, mille contro mille o uno contro uno in campi troppo grandi o troppo piccoli, sempre di cemento, quasi sempre con muri al posto di porte o due giacche a vento gettate a terra al posto dei pali. Spesso utilizzando il coloratissimo "Supertele" dalle traiettorie fantasiose perché nessuno aveva il "Tango" (sempre in plastica ma pesava un po' di più). Sempre con il più "scarso" in porta (per lo più io) e tutti con addosso gli stessi vestiti con cui si andava a scuola o a passeggio e non le maglie dei propri beniamini che ci limitavamo a nominare durante l'azione a mo' di telecronisti.
Generazioni di bimbi che avevano molto da dirsi: che la sera prima in televisione avevano visto tutti lo stesso film e gli stessi spot, che avevano quasi tutti genitori ancora non separati anche se con mille problemi e l'affitto da pagare. Bimbi senza cellulare che guardavano alla finestra: tanto prima o poi spuntava qualcuno e lo si raggiungeva in due secondi giù per le scale. Anche noi un po' vittime della pubblicità ma si era abituati a non avere tutto, a non dover comprare tutto ciò che poteva piacerci.
Si urlava "macchinaaaa!!!!" e tutti si spostavano e lasciavano passare lentamente una Prinz che ai tempi delle Ritmo sembrava già un relitto. SI saltava tra gli elastici, si correva più di Dorando Pietri, ci si nascondeva per ore in luoghi dove nessuno poteva trovarti e saltando fuori dal nascondiglio ci si rendeva conto che il gioco era finito da un pezzo.
Il cemento, l'asfalto era l'ambiente di quelle periferie anni '70, '80: si giocava tra le auto in sosta, si correva da un lato all'altro della strada. Persino i veri cortili delle case, anche quelli privati, venivano ricoperti da gettate di cemento che sembravano più pulite ed ordinate dei prati. Sembrava che il verde fosse qualcosa di poco sano, da relegare in parchi alberati non troppo vicini alle case.
Infine, dopo il fango o la sabbia, sporchi e grondanti di sudore, a volte ci si infilava negli studi di "Telezola", sicuramente una delle prime reti commerciali e locali italiane dove capitava che ci ospitassero in diretta in piccoli show pomeridiani e dove i nostri genitori erano costretti a vergognarsi di vedere all'improvviso i loro figli sudici negli apparecchi televisivi.
Anche qui mi abbandono alla musica. Vorrei proporvi due meravigliose canzoni che secondo me rendono bene l'idea di quell'ambiente, dell'infanzia tra i cortili, per quanto scritte da persone con qualche anno più di me.
Infatti forse un po’ per punizione
che ci batte in testa il sole
nonostante la tettoia
Non credo che nessuno ormai si stupirebbe
se un bambino gli chiedesse
a cosa serve una grondaia?
A cosa servono i palloni
incastrati sotto le marmitte
a ricordare quando fuori
si giocava fra le 127
Che vita !
Ah puoi dirlo sento sempre il peso
di un ricordo appeso al collo
Che vita !
Pietro Mennea e Sara Simeoni
son rivali alle elezioni…
(Samuele Bersani, "Che vita!")
ed un'altra canzone qui sotto che ha evidenti riferimenti politici e non storico nostalgici...ma per il principio per cui ognuno vede poi in una poesia ciò che vuole...io ho rivisto un pezzo della mia infanzia e, ahimé, anche del mio presente al di là del reale contesto della canzone
Mamma c'ha il cuore debole ma la voce è di tuono,
Mamma c'ha il cuore debole ma la voce di tuono.
Ci guarda con il megafono dall'ultimo piano,
promette un castigo, minaccia un perdono.
E noi siamo tutti in fila davanti al bagno,
e noi siamo tutti in fila davanti a un segno,
e noi siamo tutti al fiume a trasformare l'oro in stagno.
Ma prima di aver finito faremo un buco nell'infinito
e accetteremo l'invito a cena dell'Uomo Ragno.
(De Gregori, la ballata dell'Uomo Ragno)