Менск
Da Brest alla capitale. In bianco e nero. Un treno nel tempo che viaggiava da un secolo. Un confine che non sapevo neanche come oltrepassare, come un fuggiasco clandestino. I militari che setacciavano anche i treni merci e i polacchi che entravano e tornavano al pomeriggio dalla frontiera per fare spesa a basso prezzo fuori dall'Europa.
Una foresta grande come l'Italia, una stazione nel deserto.
E poi Minsk a colori:
un collo pallido
e le luci di una gigantesca cartolina di Natale con una slitta bianca e fiocchi di neve stilizzati tra il verde e il rosso delle divise.
Un cielo stellato in una città senza stelle
Il gelo di gennaio che io neanche sapevo che esistesse, un freddo simile. La mia febbre e una zuppa di verdure presa al distributore automatico di caffé.
Ma anche il caldo di agosto, quel caldo continentale che ti sembra talmente strano in una terra che, per un italiano, è poco meno del Circolo Polare
E' cambiata Minsk, cambiata. E ancora cambia.
Prima chiusa e diffidente, poi cerca affetto fuori dai confini, poi ti chiude ancora la porta in faccia.
E il mondo, adesso, guarda lei con la stessa diffidenza con la quale i poliziotti guardavano i miei capelli neri e la carnagione mediterranea.
Stalin è ancora vivo: ha una piazza immensa tutta sua, viali chilometrici e regna su una città grandissima e moderna. Grandissima perché mezza Bielorussia è tutta lì.