giovedì 20 dicembre 2012

FORSE NON TUTTI SANNO CHE

PERRAULT E I FRATELLI GRIMM




Si dice spesso che, le storie originali dei Fratelli Grimm e di Perrault, siano differenti rispetto a quelle a noi raccontate da bambini. In particolare mi ha sempre incuriosito che si parlasse di particolari assai più macabri nei finali delle loro favole: non meno terribili del celebre pifferaio di Hamelin o delle affascinanti storie di Andersen che, per quanto note, sono state sempre evitate dalle produzioni Disneyane (se si esclude una versione della Sirenetta che dell'originale non conserva spirito né sentimento).

La matrigna di Cenerentola, ad esempio, chiede in realtà alle sorellastre di tagliarsi il dito o il calcagno per riuscire a indossare la scarpetta e l'altra nota matrigna, quella di Biancaneve, dovrà indossare un paio di pantofole roventi e morire per il dolore come punizione finale della sua cattiveria.

Ma questo è ancora poco.
Molte di queste fiabe sono raccolte e rivedute dagli scrittori dell'epoca partendo da antiche tradizioni orali ancora più spaventose per soggetti e azioni citati.
Se già nel Cappuccetto Rosso di Perrault ci sono chiari riferimenti sessuali (la bimba viene invitata dal lupo a spogliarsi per mettersi a letto con lui e lo stesso narratore è molto esplicito nel descrivere sul finale la morale della storia), secondo le ricerche e le raccolte fatte basandosi sulle antiche versioni orali si è certi che si raccontasse addirittura di riti cannibalici con Lupo e Cappuccetto che mangiano i resti della nonna.

Sono convinto che il pudore che contraddistingue il modo di raccontare storie ai bambini negli ultimi settant'anni sia legato alla netta differenza nell'approccio all'educazione delle ultime generazioni di genitori.
Nella vita come nella narrazione si bada più a evitare, a nascondere il male e far vivere i bimbi nell'illusione di un mondo ideale piuttosto che mettere in guardia gli stessi dai tremendi pericoli della vita.
A questo servivano le fiabe oltre che ad offrire perle di saggezza spicciola: a tenere gli occhi aperti per i "mostri" che si potevano incontrare che, più che lupi, streghe o bestie selvatiche, erano più spesso uomini.
 




Quando stavano per essere celebrate le nozze con il principe, arrivarono le false sorellastre: esse volevano ingraziarsi Cenerentola e partecipare alla sua fortuna. 
All’entrata della chiesa, la maggiore si trovò a destra di Cenerentola, la minore alla sua sinistra. Allora le colombe cavarono un occhio a ciascuna. 
Poi, all’uscita, la maggiore era a sinistra e la minore a destra; e le colombe cavarono a ciascuna l’altro occhio. 
Così esse furono punite con la cecità per essere state false e malvagie.










martedì 4 dicembre 2012

QUANDO LE STELLE PIU' PICCOLE SONO LE PIU' BRILLANTI



NIENTE E NESSUNO LI POTEVA FERMARE

STORIA DI DUE GRANDI FIRME DEL JAZZ


“Scordatelo! Non toccare la mia gamba!”
Questo disse trovando la forza di urlare qualcosa che non fosse un grido di dolore. Con tutto il lato destro di carne viva, bruciata dal rogo nella sua roulotte questo “dottore” non riusciva a pensare qualcosa di meglio che “amputare la gamba!”
Si fece portare subito via da quell’ospedale: “I dottori non sanno fare altro che tagliare! Quando non sanno curarti, tagliano!” e lo trasferirono in una infermeria privata. Django credeva poco ai medici, non si fidava e aveva poca fede nella scienza in generale essendo un “Sinti” vecchio stampo: probabilmente se fosse stato per lui qualche erba e una vecchia guaritrice manouche avrebbero fatto di meglio che un ospedale.
Forse in quel caso non aveva tutti i torti.
Era ben più preoccupato della gamba che non della sua mano mezza bruciata e in parte compromessa. Eppure era il suo benedetto arto superiore ad avergli dato da mangiare finora oltre ai fiori di plastica che produceva sua moglie: proprio quei fiori che riempivano la sua roulotte la notte della tragedia e che avevano preso fuoco quando gli cadde la candela nella penombra. Oltre alla gamba destra, infatti, l'incendio aveva danneggiato non poco le sue preziose mani e in quella sinistra l’anulare e il mignolo del bravissimo suonatore di banjo erano una cosa sola, cicatrizzati e atrofizzati insieme.
Diciotto mesi di cure pazienti e la sua gamba tornò quasi a posto. Nel frattempo, in un anno e mezzo bendato e quasi sempre a letto, Django Rheinardt aveva abbandonato i virtuosismi del Banjo che gli avevano regalato la sua prima incisione su disco per dedicarsi ore e ore alla sua nuova chitarra e ai dischi di Armstrong e di Ellington che amava. Giorno dopo giorno scoprì che con solo l’indice e il medio più l’aiuto della parte atrofizzata riusciva a sviluppare una tecnica estremamente precisa, unita al suo genio musicale nell’improvvisazione jazz tale che in tutta la carriera non avrebbe mai eseguito assoli identici per uno stesso brano. Django poteva ancora inseguire i suoi sogni ed essere ancora un grande musicista. Rriprese a suonare partendo da un quintetto ben assortito con ottimi artisti fino a dirigere un’orchestra  insieme a un altro grande solista: l’amico violinista Stephane Grappelli. Quest'ultimo era un nobile, originario del Centro Italia, che evidentemente preferiva la libertà un po’ gitana dei musicisti e del jazz alla musica da camera e ai salotti.

Il successo da Parigi diventò internazionale negli anni precedenti il Secondo Conflitto Mondiale e anche durante la Guerra, probabilmente, la sua popolarità e il coraggio lo aiutarono a non subire il triste destino di tanti suoi compagni gitani nella Francia e nel suo Belgio allora occupati dai Nazisti. 
La determinazione e l’abilità trasformarono un handicap in un punto di forza fino a realizzare il sogno di una tournée americana con Duke Ellington.






“Osteogenesi imperfetta”
Colpisce una persona su 30.000  tra i bambini nati vivi, forse anche meno. Una malattia apparentemente terribile che può causare deformazioni di vario genere, a volte statura decisamente al di sotto della norma ma soprattutto e sempre una fragilità ossea più o meno accentuata. La chiamano “malattia delle ossa di cristallo”.
Eppure ci sono persone che conducono una vita “quasi normale” nonostante questa affezione. Persone che non mostrano apparentemente deformità ma che conoscono i limiti che la vita e la società gli imporranno.

E ci sono anche persone che, invece, hanno portato con grande orgoglio persino le deformità, mettendo in luce al contrario abilità fisica e genio assoluto anche contro chi vedeva in loro, al primo sguardo, solo un “handicappato”.
Una di queste persone definì la sua malattia “un vantaggio”: quel vantaggio che gli permise di non lasciarsi distrarre e dedicarsi a tempo piano alla sua più grande passione ovvero la musica.
Quest’uomo, un caso davvero celebre e straordinario di genialità e coraggio, si chiamava Michel.
Le mani di Michel in età adulta erano grandi: come quelle di un uomo medio e forse anche di più. Eppure Michel Petrucciani non poteva saperlo quando, a soli 4 anni, cominciò a sognare di diventare un grande pianista. I suoi genitori sapevano già allora, al contrario, che anche da adulto non sarebbe diventato molto più alto di un metro.
Predestinato: Michel nacque con il jazz nelle orecchie avendo un padre già affermato chitarrista. Lo stesso genitore oltre a regalargli il primo pianoforte (un piano vero perché quello giocattolo Michel lo distrusse subito con un certo disprezzo) gli costruì un sistema per utilizzare i pedali che i suoi corti arti inferiori non avrebbero mai potuto raggiungere.
Petrucciani fu un fenomeno celebre fin dall’adolescenza: arrivò a suonare con i più grandi al mondo ma si può dire che i più grandi al mondo abbiano fatto a gara per suonare con lui tra gli anni '80 e '90. Ebbe l'onore di portare la sua musica nei luoghi dove nessun pianista europeo avrebbe potuto immaginare di suonare. Ebbe molti amori e una vita intensa, straordinaria
e breve.

Nessuno lo chiamava a suonare per pietà o per simpatia.

Michel Petrucciani va ascoltato, bisogna prestare orecchio alla voce delle sue dita e allora si capisce che a volte, l’handicap, è solo negli occhi di chi identifica gli altri con una malattia e negli occhi di chi vede e giudica solo i limiti di qualcuno anziché le sue potenzialità.