NIENTE E NESSUNO LI POTEVA FERMARE
STORIA DI DUE GRANDI FIRME DEL JAZZ
“Scordatelo! Non toccare la mia gamba!”
Questo disse trovando la forza di urlare qualcosa che non
fosse un grido di dolore. Con tutto il lato destro di carne viva, bruciata dal
rogo nella sua roulotte questo “dottore” non riusciva a pensare qualcosa di meglio che “amputare
la gamba!”
Si fece portare subito via da quell’ospedale: “I dottori non
sanno fare altro che tagliare! Quando non sanno curarti, tagliano!” e lo
trasferirono in una infermeria privata. Django credeva poco ai medici, non si
fidava e aveva poca fede nella scienza in generale essendo un “Sinti” vecchio
stampo: probabilmente se fosse stato per lui qualche erba e una vecchia
guaritrice manouche avrebbero fatto di meglio che un ospedale.
Forse in quel caso non aveva tutti i torti.
Era ben più preoccupato della gamba che non della sua mano mezza bruciata e in parte compromessa. Eppure era il suo benedetto arto superiore ad avergli dato da mangiare
finora oltre ai fiori di plastica che produceva sua moglie: proprio quei fiori
che riempivano la sua roulotte la notte della tragedia e che avevano preso
fuoco quando gli cadde la candela nella penombra. Oltre alla gamba destra, infatti, l'incendio aveva danneggiato non poco le sue preziose mani e in quella sinistra
l’anulare e il mignolo del bravissimo suonatore di banjo erano una cosa sola,
cicatrizzati e atrofizzati insieme.
Diciotto mesi di cure pazienti e la sua gamba tornò quasi a
posto. Nel frattempo, in un anno e mezzo bendato e quasi sempre a letto, Django
Rheinardt aveva abbandonato i virtuosismi del Banjo che gli avevano regalato la
sua prima incisione su disco per dedicarsi ore e ore alla sua nuova chitarra e
ai dischi di Armstrong e di Ellington che amava. Giorno dopo giorno scoprì
che con solo l’indice e il medio più l’aiuto della parte atrofizzata riusciva a
sviluppare una tecnica estremamente precisa, unita al suo genio musicale
nell’improvvisazione jazz tale che in tutta la carriera non avrebbe mai eseguito assoli identici per uno stesso brano. Django poteva ancora
inseguire i suoi sogni ed essere ancora un grande musicista. Rriprese a suonare
partendo da un quintetto ben assortito con ottimi artisti fino a dirigere un’orchestra insieme a un altro grande solista: l’amico violinista
Stephane Grappelli. Quest'ultimo era un nobile, originario
del Centro Italia, che evidentemente preferiva la libertà un po’ gitana dei
musicisti e del jazz alla musica da camera e ai salotti.
Il successo da Parigi diventò internazionale negli anni
precedenti il Secondo Conflitto Mondiale e anche durante la Guerra,
probabilmente, la sua popolarità e il coraggio lo aiutarono a
non subire il triste destino di tanti suoi compagni gitani nella Francia e nel
suo Belgio allora occupati dai Nazisti.
La determinazione e l’abilità trasformarono un
handicap in un punto di forza fino a realizzare il sogno di una tournée
americana con Duke Ellington.
“Osteogenesi imperfetta”
Colpisce una persona su 30.000 tra i bambini nati vivi, forse anche meno.
Una malattia apparentemente terribile che può causare deformazioni di vario
genere, a volte statura decisamente al di sotto della norma ma soprattutto e
sempre una fragilità ossea più o meno accentuata. La chiamano “malattia delle
ossa di cristallo”.
Eppure ci sono persone che conducono una vita “quasi normale”
nonostante questa affezione. Persone che non mostrano apparentemente deformità
ma che conoscono i limiti che la vita e la società gli imporranno.
E ci sono anche persone che, invece, hanno portato con
grande orgoglio persino le deformità, mettendo in luce al contrario abilità fisica e
genio assoluto anche contro chi vedeva in loro, al primo sguardo, solo un “handicappato”.
Una di queste persone definì la sua malattia “un vantaggio”:
quel vantaggio che gli permise di non lasciarsi distrarre e dedicarsi a tempo
piano alla sua più grande passione ovvero la musica.
Quest’uomo, un caso davvero celebre e straordinario di
genialità e coraggio, si chiamava Michel.
Le mani di Michel in età adulta erano grandi: come quelle di un uomo medio e forse
anche di più. Eppure Michel Petrucciani non poteva saperlo quando, a soli 4 anni,
cominciò a sognare di diventare un grande pianista. I suoi genitori sapevano
già allora, al contrario, che anche da adulto non sarebbe diventato molto più
alto di un metro.
Predestinato: Michel nacque con il jazz nelle orecchie avendo un
padre già affermato chitarrista. Lo stesso genitore oltre a regalargli il
primo pianoforte (un piano vero perché quello giocattolo Michel lo distrusse
subito con un certo disprezzo) gli costruì un sistema per utilizzare i pedali
che i suoi corti arti inferiori non avrebbero mai potuto raggiungere.
Petrucciani fu un fenomeno celebre fin dall’adolescenza:
arrivò a suonare con i più grandi al mondo ma si può dire che i più grandi al mondo abbiano fatto a gara per suonare con lui tra gli anni '80 e '90. Ebbe l'onore di portare la sua musica nei luoghi dove nessun pianista
europeo avrebbe potuto immaginare di suonare. Ebbe molti amori e una vita intensa, straordinaria
e breve.
Nessuno lo chiamava a suonare per pietà o
per simpatia.
Michel Petrucciani va ascoltato, bisogna prestare orecchio alla voce delle sue dita e allora si capisce che a volte,
l’handicap, è solo negli occhi di chi identifica gli altri con una malattia e negli
occhi di chi vede e giudica solo i limiti di qualcuno anziché le sue
potenzialità.